Gli strumenti del videogiocare
Collana: Costa & Nolan
Collana: Estetiche della comunicazione globale
Data di pubblicazione: settembre 2002 [ottobre 2004]
Pagine: 310 (+ 30 illustrazioni a colori)
Prezzo: 24 euro
ISBN-10:8874370121
ISBN-13: 9788840009735
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Dall’introduzione di Matteo Bittanti:
“Il videogioco non è una tecnologia neutrale. Non esistono tecnologie neutrali, beninteso. La critica videoludica, tuttavia, continua ad illudersi che il videogioco sia un semplice dispositivo. Un mero strumento. Un puro passatempo. Pochi sembrano scorgere la sottesa componente ideologica. Nessuno sembra preoccuparsene. Parametro generalmente ignorato dai cosiddetti ‘critici di professione’ che da trent’anni a questa parte continuano placidamente a considerare il game sulla base di un’innocua quanto anacronistica criteriologia tecnico-estetica (“grafica”, “sonoro” etc.), l’ideologia è una sorta di interfaccia invisibile, trasparente eppure pervasiva. Come le polveri sottili che galleggiano nell’aria delle nostre città, è impercettibile, ma letale.
La critica videoludica tradizionale – supportata da un’industria ostile a una riflessione in grado di trascendere le più crasse banalizzazioni – è rigorosamente autoreferenziale. Nel suo anacronismo positivista, ignora la lezione cruciale di McLuhan, per cui il videogioco, al pari di ogni altro medium “crea un ambiente. Un ambiente è un processo, non un dato di fatto. È un’azione che modifica il nostro sistema nervoso e le nostre capacità percettive, alterandoli completamente” (2003: 91) . L’abusata e spesso fraintesa mantra di McLuhan, “il medium è il messaggio”, non si significa altro che un’innovazione “crea un ambiente di servizi non immediatamente visibile, e che questo ambiente di servizi celato cambia le persone. È l’ambiente che cambia le persone, non la tecnologia” (2003: 242) . Barricandosi dietro il pretesto del disimpegno, del videogame inteso come ludus tecnologico, la cosiddetta critica videoludica rinuncia a ingaggiare un dialogo con la “Cultura” tout court. Va da sé che il termine “critica” è inappropriato: è piuttosto infotainment, informazione promozionale, “consigli per gli acquisti” con la benedizione dei produttori di videogiochi”
Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie fa parte della collana “Estetiche della comunicazione globale” (Costa & Nolan) diretta da Marcello Pecchioli che vuole rappresentare un punto di riferimento per autori e discipline che hanno sinora avuto poche possibilità di espressione, ma soprattutto un punto di collegamento tra i contributi e i riferimenti storici e culturali del XX secolo e quelli del nuovo millennio. Un punto di riferimento per un’estetica flessibile, multidisciplinare, dotata di strumenti sofisticati che possa interrogarsi allo stesso modo sul valore dei videogiochi, dei filmoidi, degli spot,della televisione,della post-televisione,dei new media, del digitalì divide,del cinema elettronico, ma anche delle manifestazioni estetiche di altri popoli e altre culture, dall’immaginario orientale a quello degli aborigeni australiani, dall’arte africana a quella di matrice araba e islamica.
Curatore: Matteo Bittanti.
Autori:: Barry Atkins, Robert J. Bain Jr., Matteo Bittanti, Mia Consalvo, Alberto Falchi, Ivan Fulco, Rune Klevjer, Carlo Molina, Aki Jarvinen, Geoff King e Dario Villa.
Traduzioni: Valentina Paggiarin, Matteo Bittanti
Cover Design: John Haddock
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Rassegna stampa
“Questa antologia di saggi – che insieme a Mangart. Forme estetiche e linguaggio del fumetto giapponese di Cristiano Posocco e Neotelevisione. Elementi di un linguaggio catodico glocal/e a cura di Marcello Pecchioli, inaugura la nuova collana “Estetiche della comunicazione globale” di costa & nolan – esamina il medium videoludico da tre differenti angolazioni – gameplay (logica), estetica e ideologia – prestando attenzione al testo, ma anche (soprattutto?) al contesto in cui esso è concepito, prodotto e consumato. Nei dieci capitoli, firmati da ricercatori accademici e appassionati di game studies italiani e internazionali, si tenta di conciliare l’approccio testuale (vedi i contributi di Fulco e Arvinen) con quello geopolitico (King, Molina, l’introduzione di Bittanti). L’intento del volume è chiaro: dimostrare che il videogioco è un medium estremamente complesso e stratificato, le cui implicazioni trascendono la dimensione puramente ricreativa. Analizzando il fenomeno con strumenti che spaziano dalla psicologia alla semiotica, dai cultural studies ai new media studies, gli autori restituiscono un’immagine dei digital games ben lontana da quella della critica specializzata, che, forse ingenuamente, tende a privilegiare la componente meramente tecnologica rispetto a tutti gli altri. In sintesi: un libro denso in cui case studies dettagliate (si veda l’analisi di Delta Force: Black Hack Down di Robert Bain, The Sims Online di Mia Consalvo o Command & Conquer: Generals di Geoff King) si alternano a perlustrazioni storiche e sociologiche di ampio respiro. In copertina, uno degli “screenshots” di Jon Haddock, “Cafeteria” (2000). [da Videogiochi, numero 16, ottobre/novembre 2005]
“Nella pagina dei credits Matteo Bittanti svela ai lettori che il progetto di questa raccolta di saggi nasce in seguito ad un “processo di reazione”. Reazione nei confronti di chi ancora si ostina a considerare i videogiochi un semplice e innocuo hobby, isolato dalle dinamiche socioculturali del nostro tempo. Esperti italiani e stranieri del settore provano dunque in questo volume, affrontando argomenti differenti, a dimostrare ancora una volta (tutto giusto, ma viene da chiedersi quando finirà questa necessità) che il ludus elettronico va analizzato molto più dettagliatamente, senza limitarsi a considerare gli aspetti puramente tecnologici ed estetici, perché «ogni videogioco veicola in forma implicita o esplicita contenuti politici, sociali e culturali». Uno dei temi più stuzzicanti presentati nell’opera è quello della cosiddetta «v-ideologia». Nell’introduzione, lo stesso Bittanti aanfferma che bisogna abbandonare lo sguardo ingenuo sui videogiochi e non commettere l’errore di cercare di comprendere il testo senza il contesto. Risulterà così immediatamente evidente che «il videogioco non è una tecnologia neutrale». (Giuseppe Ciliberto, NIM, Aprile 2006) Leggi il testo completo).
“”Sottovalutare la rilevanza culturale, ideologica ed estetica del videogame significa (…) rinunciare a comprendere una componente importante della contemporaneità”. Questa presa di posizione un po’ tranchant, estrapolata dal saggio d’apertura V-ideologia o La Macchina della Guerra,è un’ottima chiave di lettura per una prima complessiva definizione di Gli strumenti del videogiocare. Il volume, che raccoglie una dozzina di testi circa, parte infatti da un presupposto che solo dieci anni fa sarebbe stato considerato a dir poco rivoluzionario: il videogioco non deve essere considerato soltanto un passatempo per ragazzini, un’amenità destinata a rimanere confinata alle camerette o ai salotti di casa, ma può diventare oggetto di studio, analisi, ricerca critica e accademica. L’approccio di Bittanti e degli altri autori coinvolti nell’impresa è simile a quello che negli ultimi anni ha dato nuova dignità ai fumetti e al cinema d’animazione, discipline un tempo snobbate da chiunque si fregiasse – anche a sbafo – del titolo di critico letterario o cinematografico. È un segno dei tempi, delle nuove generazioni di studiosi che si aprono a diverse forme di intrattenimento e di comunicazione, ma anche delle stesse discipline che allargano i propri obiettivi, prendendo come target un pubblico socialmente, anagraficamente e culturalmente più ampio e variegato. Che i videogiochi non siano più un prodotto destinato ai ragazzini non lo dicono solo gli autori del libro, ma anche le statistiche. Alcune delle quali individuano nel trentenne (e in certi casi, anche nella trentenne) l’utente medio. Nel caso dei videogame, poi, ci si imbatte pure nell’ennesimo tassello di una rivoluzione digitale e tecnologica che sta stravolgendo le abitudini di consumo contemporanee, fondendo forme spettacolari un tempo radicalmente distinte (il gioco oggi si fruisce sullo stesso schermo televisivo su cui si vedono i film, oppure su quel personal computer che serve anche per ascoltare musica e leggere le news su Internet). Partendo quindi dal presupposto che la materia merita uno sguardo più attento di quello che le è stato finora destinato, gli autori del volume costruiscono un percorso d’analisi ambizioso, forgiato su molteplici punti di vista e rinvigorito da una bella dose di entusiasmo giovanile. “In questo saggio mi propongo di analizzare l’estetica degli sparatutto in soggettiva (…), da un punto di vista teorico e astratto” dichiara Rune Klevjer in Danzando con il grottesco moderno, e poche pagine più avanti Geoff King gli fa eco in Giocare con la geopolitica, proponendosi di “analizzare le modalità attraverso le quali l’ideologia opera all’interno dei videogiochi”. Nel saggio iniziale, Matteo Bittanti stabilisce uno straordinario parallelo tra le immagini videoludiche e la guerra, Ivan Fulco si sofferma sul passaggio dal 2D al 3D, Robert J. Bain jr. mette in parallelo il testo Al di là del principio di piacere (1920) di Sigmund Freud con Delta Force: Black Hawk Down, controverso titolo ispirato a una tragica battaglia avvenuta in Somalia. Dario Villa ragiona invece sul dualismo cinema-videogame, non tanto da un punto di vista commerciale e industriale, quanto sul piano dell’estetica e del linguaggio; e l’elenco potrebbe proseguire toccando tutti gli altri saggi. Gli strumenti del videogiocare non è un manuale, non è una guida, non è neanche una storia dei videogiochi. È invece qualcosa di molto più interessante: un collage di teorie spesso coraggiose e di ragionamenti complessi su come il videogioco sia ormai entrato a far parte del tessuto connettivo della società contemporanea. Sottovalutarne la rilevanza culturale, ideologica ed estetica sarebbe davvero un errore.” (Luca Castelli, L’Indice)
“Argomentazioni inappuntabili, spassionatamente dedicate a chi scrive di videogiochi, sia che si tratti del professionista della stampa specializzata o dell’amatore che disserti saggezza sui forum.
Inoltre l’autore, nell’attribuire all’attuale videogioco le caratteristiche proprie di una forma di ideologia visuale (in quanto veicolo in forma implicita o esplicita di contenuti politici, sociali e culturali), conclude affermando che il videogioco, oggi, fornisce le categorie epistemologiche per comprendere la realtà. Parole che, più semplicemente, si traducono in un sofisticato dito medio rivolto a chi, ancora adesso, invoca lo scandalo, grida al razzismo e teme violenza indotta da un mezzo fin troppo spesso banalizzato.
Il videogioco, insomma, è semplicemente cultura: iconografica, visuale, politica e propagandistica, tecnologica, attuale e tanto stimolante (nelle mani degli artisti) quanto pericolosa (nelle mani sbagliate).
Relegarlo alla mera categoria del passatempo diseducativo, capace di trasformare i nostri bambini in infallibili killer desensibilizzati, è ormai pratica ascrivibile al miope qualunquismo. Gli strumenti del videogiocare che l’omonimo libro fornisce al lettore, dunque, rappresentano quei necessari e imprescindibili tool di sviluppo per una critica che (ormai) dovrebbe saper prendere le distanze da una mera indagine degli aspetti tecnologici ed estetici connessi al videogioco. Il testo, come conferma l’autore nelle pagine iniziali, è prima di tutto una reazione nei confronti di chi si ostina ad analizzare il videogioco come un’isola a se stante, del tutto indipendente dalle dinamiche socio-culturali del nostro tempo. Perché la realtà dei fatti è decisamente più complessa.
Gli strumenti del videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie, ancora, è un pregevole strumento per ragionare sulla rilevanza culturale, ideologica ed estetica dei videogiochi, ormai solida parte costitutiva del tessuto connettivo della società contemporanea.
E per poco meno di ventiquattro euro ci sono anche trenta illustrazioni a colori su carta patinata!” (Lorenzo Antonelli, NextGame)
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