Tra i pionieri del machinima spicca lo scozzese Hugh Hancock, a cui va riconosciuta l’ideazione del termine stesso, nel 1999. Hugh si cimenta con questa forma espressiva da oltre un decennio e guida il laboratorio creativo Strange Company, uno dei primi studi di produzione a dedicarsi al machinima in modo sistematico. Tra le altre cose, Hugh e’ l’autore del volume Machinima for Dummies, co-fondatore del sito Machinima.com, e uno dei fondatori dell’Academy of Machinima Arts and Science. Ha tenuto conferenze in tre differenti continenti e ha recentemente completato BloodSpell, uno dei piu’ ambiziosi progetti machinima di tutti i tempi. Lo abbiamo incontrato a Leicester qualche settimana fa per discutere dello stato-dell-’arte.
Ludologica: A cosa riconduci il crescente successo del machinima?
Hugh Hancock: Penso che la ragione principale per cui il machinima è diventato così importante negli ultimi tempi sia rintracciabile nella sua straordinaria versatilita’. Esso infatti offre una forma di espressione democratica e accessibile, non richiede costi di produzioni probitivi o competenze elitarie. Attualmente il machinima è più legato alle riprese cinematografiche dal vivo che all’animazione vera e propria. Esso inoltre offre la possibilità di poter creare immagini, sequenze e filmati senza dover investire somme considerevoli – a differenza dei film veri e propri – ne’ tempi particolarmente lunghi, come invece accade per l’animazione. Stavo giusto guardando un machinima girato da un amico in appena un’ora e mezza: se lo avesse girato dal vivo, gli sarebbe costato 300.000 sterline, senza contare le spese extra, come i set e l’attrezzatura specializzata. Usando tecniche di animazioni tradizionali, avrebbe impiegato almeno cinque mesi.
Ludologica: Quali differenze separano il machinima delle origini e quello odierno?
Hugh Hancock: Esistono notevoli differenze tecniche tra i primi esempi di machinima e i più recenti, ma anche dal punto di vista visuale ci sono state delle evoluzioni. Il machinima è diventato molto più raffinato. Oggi gli autori sono più consapevoli dei problemi che devono affrontare normalmente gli animatori. Sempre più artisti prendono spunto dall’animazione e dall’arte visuale per sviluppare la loro forma artistica, ma in qualche modo il machinima è ancora quello che è sempre stato: una tecnica di produzione semplice da usare, economica e potente. Molti se ne servono per produrre film che altrimenti non potrebbero mai realizzare. E’ stato uno dei motivi trainanti del machinima nei primi anni di sviluppo ma il fenomeno è ancora in atto.
Ludologica: Mi chiedo se la forza del machinima – la sua duttilita’ e facilita’ d’uso – non rappresenti anche una debolezza, in quanto potrebbe svalutare il medium, riducendolo al rango di una semplice tecnica per principianti?
Hugh Hancock: Non penso. Il machinima può indubbiamente costituire il primo passo verso altri media (per esempio, il cinema), ma potrebbe anche rappresentare una vocazione, un percorso autonomo. Sempre più autori sperimentali, come Peter Rasmussen le cui opere hanno aperto per ben due volte il Sydney Film Festival, lo utilizzano regolarmente. Lo stesso vale per Paul Marino, che ha ricevuto un premio Emmy e molti altri ancora. Il percorso dal machinima al cinema non e’ a senso unico: la direzione e’ duplice. Non stiamo parlando di uno strumento che si rivolge esclusivamente ad artisti alle prime armi, privi del capitale per realizzare altri progetti. Molri professionisti se ne servono per creare progetti che non sarebbe possibile realizzare al cinema, per motivi economici, logistici o politici.
Ludologica: L’animazione tradizionale è basata sul concetto della creazione a fotogramma singolo, mentre la natura del machinima è basata sul procedere in tempo reale. Cosa ne pensi?
Hugh Hancock: La questione e’ spinosa e non sicuro che ti piacerà la mia risposta (sorride). Fondamentalmente io non credo che il machinima sia strettamente una forma d’arte animata, nel canonico senso della parola. Da molti anni ormai considero il machinima come un’evoluzione della tecnica marionettistica. Esso prevede infatti il controllo attivo di personaggi, degli avatar, in un ambiente animato, qualcosa di molto simile alle marionette che si controllano con fili, bastoncini o altro. Trovo inoltre molte similitudini con la cultura delle performance artistiche, la quale incrocia spesso il machinima. La differenza chiave quindi è che non si tratta di vera animazione: qui non abbiamo il preciso controllo di ciò che avviene sullo schermo; certo usiamo spesso tecniche di animazione ma il machinima per sua natura è più un medium recitato che un medium animato. Penso che questa differenza sia davvero cruciale.
Ludologica: Norman McLaren una volta ha affermato “È più importante ciò che accade tra un fotogramma e l’altro che quello che esiste su di essi”. McLaren con questa affermazione sostiene come sia più importante creare l’animazione che la tipologia dell’opera su cui si lavora. È possibile applicare quest’affermazione anche al machinima, anche se non si lavora a singoli fotogrammi?
Hugh Hancock: Non fai domande semplici (ride). Comunque non penso che sia corretto applicare questa considerazione al machinima, visto che non in questo contesto non lavora in termini di fotogrammi, ma per estensione potrei certamente dire che il sottotesto è più importante del testo, o, per lo meno, ugualmente importante. La maggior parte dei machinima entra in crisi su questo punto perché è spesso prodotto da autori che non hanno ricevuto un’educazione formale, specialmente in materia di narrazione. Il machinima tende verso la superficialita’, è tutto così visibile che gli elementi sottotestuali non sono sempre assicurati. C’è da notare che il machinima altamente sottotestuale – penso, per esempio, alle opere di Tom Gentle – è particolarmente rappresentativo, in quanto include sempre delle implicazioni importanti alla storia raccontata. In altre parole, penso che l’affermazione di McLaren valga per tutti i media visuali: il sottotesto e’ sempre più importante del testo.
Ludologica: Uno scrittore usa le parole, un pittore le immagini… Ogni strumento offre delle possibilita’, ma anche dei vincoli… Quali sono i limiti del machinima?
Hugh Hancock: Domanda interessante. Direi che uno dei limiti del machinima, paradossalmente, è il movimento. Un dipinto offre profondità e complessità di significato, propone un’immagine pensata per essere studiata. Mi spiego meglio: non si contempla un Monet per un secondo per poi passare ad altro… Lo guardi, lo studi, cerchi di immaginare il suo senso. Il limite di tutta l’arte visuale in movimento è che le immagini scivolano via, restano sullo schermo per mezzo secondo poi scompaiono, si tratta di immagini usa e getta. E’ la provocazione di Andy Warhol, che creava immagini di brevissima durata, immagini che, per loro natura, poco dopo sparivano nel vortice del consumo. Uno degli aspetti più interessanti del machinima, al momento, è che è ancora più “usa-e-getta” del cinema; penso che questo aspetto sia legato alle modalità di distribuzione delle opere. Il machinima è un medium interessante e molto fragile, non ha ancora la resistenza del cinema tradizionale. L’altro aspetto da considerare è che il machinima non è fotorealistico come il cinema. Per i prossimi trent’anni non penso riusciremo ad arrivare al punto di catturare alla perfezione azioni reali in animazione, non penso succederà, anche se in alcuni ambienti culturali l’animazione funziona diversamente. Hai presente la serie televisiva The West Wing? C’è una scena particolarmente brillante in uno dei primi episodi in cui il Presidente degli Stati Uniti, interpretato da Martin Sheen, è al telefono con un marinaio disperso in mare, in una tempesta credo. Tutto quello che il regista fa è solamente chiudere l’inquadratura molto, molto lentamente sul volto di Martin Sheen per trenta, quaranta secondi. Sheen tradisce le emozioni del personaggio solo attraverso la recitazione. Non penso sia possibile fare questo in machinima per ora, penso che la grande limitazione sia che non si può contare sul carisma di un attore.
Ludologica: In passato hai affermato che il machinima si colloca a metà strada tra cinema e animazione. Quindi il machinima non è animazione?
Hugh Hancock: Oggi disapproverei questa definizione. Direi invece che il machinima è una bestia differente. E’ un ibrido, per cui gli spettatori lo percepiscono come animazione, ma non e’ stato creato con le tradizionali tecniche di animazione. L’approccio produttivo al machinima è in molti modi simile al cinema: la realizzazione di un machinima è più simile ad un film dal vivo che ad uno animato, ma comunque il pubblico lo percepirà come un film d’animazione. Si utilizza un approccio filmico tradizionale, si gira dal vivo, non si lavora fotogramma per fotogramma, ma l’autore di un machima dovra’ sempre rassegnarsi al fatto che il pubblico considererà il suo lavoro come un’animazione dall’estetica particolare. Il machinima alla fine non è nessuna delle due cose, si sta sviluppando come forma artistica autonoma che però ha strette relazioni con l’animazione e il cinema tradizionale. Esiste un gap tra il modo di produrre e il modo di vedere il machinima. Comprendere le connessioni tra i due aspetti fa la differenza…
Ludologica: Secondo il teorico dei media, Lev Manovich, la forma paradigmatica della creatività e dell’estetica contemporanee è il “database” elettronico. Il machinima è forse l’esempio perfetto di questa teoria?
Hugh Hancock: Sicuramente ci sono degli aspetti legati a questa teoria, ma per molte ragioni il machinima è una forma d’arte molto tradizionale. Chi crea machinima non vuole produrre lavori interattivi, non cerca la produzione collettiva. Il machinima è la più giovane delle vecchie arti, produce filmati, linee narrative convenzionali. Parlare di database è qualcosa che riguarda molto di più i videogiochi, ma il machinima non è gioco, anche se potrebbe utilizzare i database come strumento.
Link: Hugh Hancock & Strange Company
Link: Bloodspell
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