Bioshock. Nel nome del padre, la nuova monografia dedicata a Bioshock, sedicesimo volume della collana Ludologica. Videogame D'Autore curata da Gianni Canova e dal sottoscritto. L'autore è Filippo Zanoli. Nato e cresciuto in Svizzera e poi trasferitosi in Italia per gli studi superiori, Filippo si è laureato in lettere moderne presso l'Università degli Studi di Milano e ha in seguito conseguito un master in Digital Entertainment presso lo IULM di Milano. Collabora come insegnante con l'Università degli Studi di Milano e scrive di game culture per il settimanale svizzero Azione. Ha pubblicato alcuni saggi e articoli sul complesso rapporto fra linguaggio e videogiochi e sull'uso dei videogiochi come mezzo per l'insegnamento della lingua. Quella che segue è una chiacchierata a tutto campo sul senso dell'operazione e sulla ricerca accademica in campo videoludico.
Dalla sinossi: "Nell'estate del 2007, annus mirabilis per gli sparatutto in soggettiva, irrompe sulle scene un videogioco destinato a ridefinire la natura stessa del genere.
Rivoluzione, ma anche evoluzione: si tratta infatti del successore spirituale di quel System Shock 2 che aveva contribuito a riscrivere le regole di funzionamento e fruizione dell'FPS. Ken Levine, asso del game design e del game writing, ex-Irrational ed ex-Looking Glass, senza mezzi termini si giocava su quel quasi anonimo cavallo la sua credibilità e il suo futuro nell'industria. Un grande progetto nel quale, assieme a tutto il team di 2K Boston/Australia, l'auteur statunitense si era gettato con tutte le sue forze.
Quel videogioco era Bioshock."
Matteo Bittanti: Chi è Filippo Zanoli? Ma soprattutto, che tipo di giocatore è?
Filippo Zanoli: Filippo Zanoli è un ragazzo di ventotto anni che nella sua vita si è sempre molto interessato alle cose umane. Si è formato in filologia moderna, quindi perlopiù è un letterato che si è avvicinato ai game studies per vie traverse e, come molti in Italia, un po' da autodidatta leggiucchiando qua e la. Ha pubblicato qualcosina, insegnato in università e non, giornalisteggiato e bloggato. Senz'altro si tratta di un videogiocatore attento, non esageratamente compulsivo né hardcore, ma che tenta di giocare a quelli che reputa i "tasselli fondamentali" dell'evoluzione (o involuzione, perché no) del medium. Attualmente gioca perlopiù su console, mentre fino a qualche tempo fa era in tutto e per tutto un pc gamer (e questo, in relazione al libro, un'importanza ce l'ha). Inoltre, per concludere, deve ammettere che scrivere di sé in terza persona è veramente straniante.
[In alto: Una bozza della copertina - il ritratto di Ken Levine è stato realizzato da Mauro Ceolin e fa parte della rassegna GamesPeople]
Matteo Bittanti: Perché una monografia su Bioshock?
Filippo Zanoli: Perché Bioshock è come una grande mela sugosa che può essere morsa da chiunque in maniera saporita, per certi versi è anche una scelta un po' cheap (più bello l'inglesismo invece di un italiano "facilona"). Per quanto mi riguarda ho scelto Bioshock per la sua densita diegetica ma anche puramente semiotica - Rapture, in questo senso, è veramente di una logorrea pazzesca, ma deve esserlo per generare lo straniamento che è un po' la sua raison d'être - dall'altro lato, invece, ho voluto vederci il punto di arrivo, la maturità, del first-person shooter anche oltre i risultati clamorosi delle opere di maestri cesellatori di Valve. Si tratta senz'altro di un classico contemporaneo (se così si può definire) che ha influenzato giochi a venire, anche di generi completamente diversi.
Matteo Bittanti: Ci descrivi la struttura del volume? Quali strategie esegetiche hai applicato per decostruire questo originale videogame?
Filippo Zanoli: La struttura di Bioshock. In nome del padre è particolare. Ho voluto scrivere un libro che rispecchiasse me, il mio modo di insegnare, parlare e scrivere di videogiochi. In questo senso è stato diviso in sezioni ben distinte, una che potrebbe sembrare "propedeutica" di storia della narrazione dell'FPS, una parte più teorica e una monografica sull'autore Ken Levine e Irrational/2k Boston, in fine, quella (immancabile) esegetica dedicata alla serie. È un impianto volutamente eterogeneo che può essere fruito (o studiato, ho pensato anche a questo) anche parzialmente senza che perda di coerenza e completezza.
Matteo Bittanti: Come descriveresti l'evoluzione della serie?
Filippo Zanoli: Fra Bioshock e Bioshock 2 il cambiamento è sostanziale ma non abbastanza da poter parlare di un'evoluzione. Il primo episodio, come sappiamo, è roba fuoriuscita dal cilindro magico di Levine e, il suo vice McClendon che ne realizzerà il seguito, non potrà fare a meno che basarsi su quel lore senza stravolgere più di tanto le carte in tavola. È indubbio, però, che il secondo episodio mostri una maturità diversa e una declinazione inaspettata della materia vista nel primo episodio: una Rapture stravolta e malata terminale, una sadica dama bianca Sofia Lamb e "la figlia" del protagonista, allo stesso oggetto della ricerca e dea ex machina, Eleanor.
Un'immagine di Bioshock
Matteo Bittanti: Qual e' la logica di funzionamento di Rapture?
Filippo Zanoli: Rapture era stata creata per essere la migliore dei mondi possibili, un'utopia atlantica (nel senso che richiama Atlantide ma che è anche situata nell'Atlantico) edonistica e iperliberista destinata al fallimento già quando era in nuce. Nel libro l'ho definita "un acquario al contrario" in primo luogo perché, ovviamente è una bolla d'aria e umanità in mezzo all'oceano pieno di pesci, in secondo luogo perché al suo interno tutto funziona come in un biotopo animale: come in un alveare o formicaio. Gli attori principali (soprattutto i Big Daddy e le Little Sisters) sono programmati ad agire in un certo modo e così gli abitanti della città, gli splicer (o ricombinanti, in italiano). Uniche eccezioni, ovviamente il giocatore (che spesso è trattato proprio come una variabile sistemica insopportabile che dev'essere trattata con degli appropriati anticorpi), ma anche l'élite di Rapture (divisa inequamente fra antagonisti e aiutanti, veri o fittizi) con la quale si avrà a che fare durante tutto il gioco.
Rapture, vista dall'alto
Matteo Bittanti: Cosa possono fare oggi i Game Studies per illuminare la natura del medium videoludico?
Filippo Zanoli: I game studies hanno l'importantissima funzione di riflettere (e far riflettere) sul videogioco. Vengono sempre più letti da professionisti del settore, critici e da studenti (quindi futuri professionisti del settore) possiamo dire che influenzano (in)direttamente come i videogiochi vengono concepiti, realizzati, percepiti e consumati. La loro unica debolezza, la giovinezza, è anche il loro maggior punto di forza perché permette di rimettersi rapidamente in discussione interconnettendosi con un reale mutevole come il nostro. Ben venga quindi un'interdisciplinarietà non autoreferenziale e sempre indirizzata verso il "capire per poi poter fare" piuttosto che al semplice trastullo mentale.
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Bioshock 2 (Xbox 360, PS3)
Immagini: Courtesy of 2K Games.
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