“Alle due del mattino dell’undici settembre, Gouranga.com, il sito indipendente della comunità di GTA, pubblica il testo di una chat tra i fans e Dan Houser. “Domanda: Oltre alle automobili, potremo rubare e dirottare altri veicoli?” Domanda un giocatore. “Risposta di Dan: "Certo! Barche... Carri armati... Ambulanze, taxi, autobus, gelaterie ambulanti”. E poi: “Non solo i mezzi pesanti, tipo elicotteri... Aereoplani di linea e cargo... Siamo criminali, dopo tutto, non piloti di linea!”. Sette ore dopo, Sam [Houser, fratello di Dan e co-fondatore di Rockstar Games] si trovava nel suo ufficio downtown New York, gli occhi incollati alla finestra, mentre osservava le minacciose nuvole di fumo che oscuravano i cieli della città. Due aereoplani si erano appena schiantati contro le torri gemelle del World Trade Center. In bilico tra paura e il disgusto, Sam non riusciva a scacciare la sensazione di trovarsi in un film. Commentando la sua reazione agli attentati qualche tempo dopo, Sam ha dichiarato: “Si è trattato del più realistico action movie che abbia mai sperimentato perché era fottutamente reale.” (64-65)
Il lungo esergo è tratto da Jacked: The Outlaw Story of Grand Theft Auto (John Wiley & Sons, 2012), il nuovo, appassionante libro di David Kushner, l'autore di Masters of Doom Ovvero come due ragazzi hanno creato un impero e trasformato la cultura pop, tradotto in italiano dalle Edizioni Multiplayer nel 2005. Appena pubblicato negli Stati Uniti, Jacked racconta l'incredibile storia di Grand Theft Auto, la controversa serie di Rockstar Games. Al pari del mirabile Masters of Doom, Jacked è un resoconto giornalistico scritto con un irresistibile stile cinematografico. Si tratta, in altre parole, di una sceneggiatura che aspetta solo di essere trasformata in un blockbuster modello The Social Network e a questo proposito, auspico che David Fincher ed Aaron Sorkin ci mettano sopra le mani perché entrambi i volumi hanno un enorme potenziale. Jacked, in particolare, racconta la storia di due ragazzi britannici, Sam e Dan Houser, che hanno sbancato a New York, la capitale del mondo dopo aver trasformato per sempre la Londra videoludica.
Ciò che rende Jacked particolarmente avvincente è il fatto che gli Houser non hanno semplicemente rivoluzionato l’industria dei videogame, ma la cultura pop nel suo complesso. Non a caso, a più riprese Kushner celebra la natura intertestuale di Grand Theft Auto, un videogioco che insieme omaggia e remixa alcuni classici del cinema degli anni Sessanta e Settanta, come The Getaway, The French Connection, Il mucchio selvaggio, I guerrieri della notte. "Come ha spiegato Aaron Garbu [uno dei producer], il gioco consentiva all'utente di diventare il protagonista di un cartone animato demente e iper-violento diretto da Scorsese”. (88). Grand Theft Auto è uno di quei rarissimi videogame che sono stati capaci di catturare la weltaunschauung di un'epoca, trascendendo geek-landia fino a travolgere il mainstream.
Lo straordinario successo di GTA acquista una rilevanza particolare considerando che, come ci ricorda Kushner via Marshall McLuhan, “I giochi praticati da una società ne rivelano l’essenza”. E poi: "E' difficile comprendere la generazione che é cresciuta a cavallo del millennio senza comprendere GTA. Con Grand Theft Auto, i videogame sono usciti dalla fase dell’infanzia per entrare nell’adolescenza. Il videogame di Rockstar Games ha svolto un ruolo fondamentale per la storia di un medium alla ricerca della propria voce, della propria identità. E’ un artefatto dell’era di George W. Bush e della lotta per i diritti civili” leggiamo a pagina 94. Le iperboli sono giustificat. E poi, Grand Theft Auto rappresenta una “lettera d’amore di un gruppo di scapestrati inglesi agli Stati Uniti, un omaggio interattivo agli eccessi di una nazione che ha trasformato i vizi capitali in industrie multimilionarie: sesso, soldi, crimine organizzato, moda e droga." (101)
La genesi di Grand Theft Auto é ben nota a tutti gli appassionati - e non solo - ma a Kushner va riconosciuto il merito di aver raccontato una storia avvincente, portando in primo piano una serie di dettagli dietro-le-quinte che umanizzano i due protagonisti, Sam e Dan, i fratelli terribili che hanno messo a ferro e fuoco l'industria videoludica. E non mancano dettagli gustosi e chicche che affascinano tanto il gamer incallito quanto il lettore che non abbia grande dimestichezza con l'oggetto di analisi. Per esempio, quanti erano a conoscenza del fatto che uno dei videogame preferiti di Sam è Elite? Per chi non lo sapesse, Elite é un gioco di eplorazione intergalattica - un classico del gaming britannico - di David Braben e Ian Bell. Astratto e concettuale, il gioco pare lontanissimo dall'apocalisse urbana-troppo-urbana di Grand Theft Auto. Eppure, come dimostra Kushner, i due giochi presentano molte piu affinità di quanto non si potrebbe immaginare.
La tesi portante di K. - una tesi assolutamente condivisibile - è che è impossibile comprendere il fenomeno Grand Theft Auto se non si tiene in considerazione il contesto, ovvero le trasformazioni tecnologiche e sociali che hanno avuto luogo nella prima meta degli anni Novanta. Kushner ci ricorda che gli Houser avevano un unico obiettivo: dimostrare che il medium videoludico sarebbe diventata la forma espressiva dominante del ventunesimo secolo. E solo una compagine ai margini dell’industria, un gruppo di reietti e di "immigrati" come Rockstar Games avrebbe potuto compiere il miracolo. “I videogiochi erano stati considerati a lungo un medium di seconda classe, forse per via della loro immaturità e i giocatori, a loro volta, erano trattati come dei fuorilegge,” leggiamo nelle prime pagine, che narrano l’adolescenza dei due ribelli. Ma grazie alla determinazione e all’innata voglia di cambiare lo status quo Dan e Sam Houser - come John Romero e John Carmack di id Software (i protagonisti di Masters of Doom) - sono riusciti a trasformare un’industria subordinata a quella del giocattolo a livello ideologico e culturale in una delle più importanti espressioni creative dell'era contemporanea.
Rockstar Games, spiega Kushner, è l’equivalente videoludico di Def Jam Recordings, la leggendaria etichetta musicale fondata dal punk rocker Rick Rubin in New York nella sua stanza del dormitorio universitario. Si consideri questo passaggio:
“Start-up musicale più sgamata di tutti i tempi, Def Jam Recordings era stata creata con un unico fine: promuovere e celebrare un nuovo tipo di musica, l'hip-hop della East Coast. Insieme al suo partner, il promoter Russell Simmons, il fondatore Rick Rubin, ha assemblato un catalogo esplosivo dei migliori brani prodotti nei cinque distretti di New York. E con la collaborazione del suo "partner criminoso", un ragazzo di colore di Quens, Rubin, un ragazzaccio bianco di origini ebree proveniente da Long Island, ha formato un mix unico e potente, combinando la passione per il rap e il rock per creare un nuovo stile, un prodotto di consumo mainstream. I due hanno reclutato tra i tanti, un tizio arrogante di nome LL Cool J e un trio di rappers bianchi, i Beastie Boys.” (33)
Tutt'altro che sorprendentemente gli Houser hanno studiato le “tecniche di marketing guerrigliero” dell’etichetta musicale, applicandole all’industria videoludica. Una tattica spregiudicata, irriverente, e mai adottata prima da un'industria estremamente conservatrice e reazionaria come quella del videogioco, specie negli Stati Uniti. La passione di Houser per Def Jam e per il cinema indipendente degli anni Settanta, quel cinema che aveva trovato nel Martin Scorsese di Taxi Driver il suo benchmark lo spinge a lasciare Londra per New York. “Sam era infaturato da quella città, dalla sua moda, cultura e musica. Di giorno indossava le monotone uniformi del liceo di St. Paul. Di sera, quelle variopinte e stilose della scena newyworchese” (25).
Ma prima di lasciare il Vecchio Continente per la Terra Promessa, Sam aveva dato inizio alla sua carriera lavorando per un’etichetta musicale, BMG. Il nostro anti-eroe ottiene il primo incarico “insultando il producer durante un pranzo di lavoro in compagnia del padre, che lo aveva introdotto” (27). Sam aveva spiegato al manager di BMG UK che l'azienda "non possedeva alcuna identità di brand". L'aveva liquidata come "anonima" e "generica" Irritato e intrigato allo stesso tempo, il manager lo assume immediatamente: “Se pensi di essere così intelligente, perché non lo dimostri sul campo?” Presto detto. Houser accetta la sfida e affianca gli studi a tempo pieno all’Università di Londra, con il lavoro a BMG. A soli diciannove anni produce il primo video musicale di una promettente boy band chiamata Take That. “Take That & Party” riscuote un grande successo commerciale e il nostro conquista la fiducia dei suoi superiori. Achievement unlocked. “Per un ragazzino cresciuto a forza di film criminali e hip-hop, BMG rappresentava l'antitesi delle sue tendenze ribelli. Il video mostrava i Take That impegnati a ballare, pavoneggiarsi e tuffarsi allegramente in vasche Jacuzzi. Ma si trattava pur sempre di un lavoro - un lavoro creativo - capace di soddisfare l’ambizione di Sam di lavorare nell’industria musicale”. (34). E’ il 1992, e Sam è pronto a conquistare il mondo dagli uffici di BMG Interactive, un nuovo studio dedicato alla convergenza tra la musica pop e i videogame, su Fulham High Street. Il nostro, ormai lanciatissimo, suggerisce ai boss di “promuovere il nuovo album di Annie Lennox attraverso un sito online, un’iniziativa tutt'altro che comune ai tempi. Nonostante la titubanze dei suoi capi che temevano di buttare via un'ingente somma di denaro, il progetto va in porto. L'enorme successo del disco, che conquista immediatamente la prima posizione delle classifiche inglesi, cementa la carriera di Sam e attesta che l'intersezione tra la musica e internet era ormai un fenomeno irreversibile” (35).
Dopo aver ottenuto carta bianca con BMG Interactive, Sam Houser coglie rapidamente che il futuro dell’intrattenimento elettronico non sono i CD-ROM multimediali, come ritenevano i cosiddetti “esperti” dell’epoca - i "media guru" degli anni Noavanta - bensì i videogames. E i videogames si trovavano alla vigilia di un cambio di paradigma grazie all’introduzione di una piattaforma rivoluzionaria: Sony PlayStation:
“Nel 1994, Sony stava progettando in Giappone il lancio della sua prima console da casa, PlayStation, partendo dal presupposto che i videogiocatori erano ormai diventati grandi. Phil Harrison, un giovane manager di Sony a cui era stato assegnato l’incarico di reclutare sviluppatori di videogame europei, era convinto che l’industria videoludica fosse ingiustamente presentata come ‘subordinata a quella del giocattolo’ e che “i giocatori venissero descritti come timidi e asociali dodicenni barricati in cantina”. Le ricerche di mercato di Sony mostravano invece che i videogiocatori erano assai più maturi e, soprattutto, che avevano un sacco di soldi da spendere” (41)
Introdotta con il modesto slogan “Più potente di Dio” e promossa da una originale campagna pubblicitaria di Chiat/Day negli Stati Uniti, PlayStation ha trasformato per sempre la nozione stessa di videogame rendendo “cool” un fenomeno che fino a mezz’ora prima era espressione del nerdume più totale. Phil Harrison ha guidato la rivoluzione, elevando PlayStation da mero dispositivo tecnologico a status symbol, fenomeno di costume. Per dieci anni - nella decade compresa tra il 1995 e il 2005 - PlayStation era sinonimo di videogame:
“Il 1996 segna l’inizio di una nuova era a livello mondiale per i videogame, grazie al successo di Sony PlayStation. Dopo il lancio della console sul territorio nipponico nel dicembre del 1994, Sony aveva venduto oltre cinquecentomila unità nei primi tre mesi. L’introduzione di PlayStation era stato definito dall’azienda come “Il lancio più importante dai tempi del walkman." (47)
In PlayStation, gli Houser avevano trovato la piattaforma perfetta per realizzare i loro progetti: “La vera sfida era il meta-gioco, ovvero trasformare l’esperienza ludica nel suo complesso, così come il cinema degli anni Settanta e l’hip-hop negli anni Ottanta avevano profondamente ridefinito le rispettive industrie” (42). 1995-2005: una decade irripetibile per un’azienda che oggi si trova in evidente crisi di identità e che ha perso i suoi uomini migliori. Lo stesso Harrison oggi lavora per Microsoft al progetto Xbox dopo un insipido trascorso con Atari.
Uno dei capitoli più sorprendenti di Jacked racconta con dovizia di particolari la genesi Grand Theft Auto. GTA prima di GTA. Originariamente intitolato Race’n’Chase, letteralmente, Corri e Insegui, il gioco nasce come un simulatore di guida urbano con visuale a volo d'uccello. Il suo creatore e ideatore è il geniale David Jones, autore di classici per Amiga come Menace (1988) e Blood Money (1989). Jones aveva formato l’etichetta DMA Design, “Che incarnava lo spirito fai-da-te dei tempi, per cui per creare un videogame non serviva altro che un computer e un sogno” (48). “Il suo obiettivo,” scrive Kushner, era quello di creare videogame divertenti e veloci come le auto sportive che adorava. ‘Abbiamo solo tre, cinque minuti al massimo per catturare l’attenzione dei giocatori,’ ha dichiarato una volta. “Non m’importa quanto sia bello il tuo gioco... Se non sorprendi il giocatore nei primi tre, cinque minuti, sei finito.” (43). Oggi, i tempi si sono compressi. L’attention span dei giocatori è in caduta verticale da almeno un decennio: se non colpisci nel segno in trenta secondi, sei finito. Jones è stato capace di applicare la sua formula per tutti i giochi che ha sviluppato, o quasi. Il primo grande successo planetario di Jones è un diabolico puzzle game intitolato Lemmings, introdotto con uno slogan leggendario: “Non siamo responsabili per squilibri mentali, insonnia, calvizie”. “Lemmings è ricordato come una pietra miliare della storia dei videogame. Hit immediato, il gioco ha venduto oltre cinquantamila copie al lancio” (44).
Il precursore di Grand Theft Auto, Race 'n' Chase, nasce e cresce negli studi di DMA Design grazie all’influenza di altre figure leggendarie del gaming, tra cui il producer Jamie King, tra i pochi che “poteva competere con la passione enciclopedica per la pop culture di Sam. I due condividevano la passione per i film di John Cassavettes e per la pellicola in bianco e nero di Matthieu Kassowitz, La Haine. Ma anche per la street art e per la musica, A Tribe Called Quest e JVC Force”. (57). E poi Gary Penn, “Un ex giornalista videoludico con un pizzico di Johnny Rotten e una passione per i calzini verdi”. King e Penn suggeriscono agli sviluppatori di trasformare una “fottuta simulazione” (ibidem) in un videogioco fuori dagli sche(r)mi, che mette il giocatore nei panni del cattivo (il ladro, il criminale) invece del buono (la guardia, il poliziotto). In Race 'n' Chase, il giocatore può investire pedoni e violare ogni possibile norma sul traffico. Anzi, viene incoraggiato a farlo. Il cambio di prospettiva etica trasforma radicalmente la natura del gioco e, in questo modo, anticipa le successive evoluzioni di Grand Theft Auto. Come spiega Kushner:
“La decisione di DMA di consentire ai giocatori di investire i pedoni - e di premiarli con dei punti, niente meno - ha de facto trasformato le regole del gioco. Invece di "Guardie e Ladri", Race 'n' Chase diventa "Ladri e Guardie". Il giocatore doveva completare delle missioni per conto dei cattivi - come rubare autovetture. Un cambio radicale. Nella breve storia dei videogame, i giocatori avevano interpretato in modo quasi esclusivo il ruolo dell’eroe, non dell’anti-eroe. [...] Solo un oscuro coin-op dei primi anni Settanta, Death Race 2000, aveva consentito ai giocatori di investire fantasmi virtuali - alter ego dei pedoni - ed era stato immediatamente censurato. Nessuna casa di sviluppo aveva avuto il coraggio di creare un videogame che premiava il comportamento violento e psicotico dei giocatori.” (58)
Kushner racconta come negli studi di Dundee di DMA Design, la maggior parte degli sviluppatori erano impegnati sul seguito di Lemmings, mentre un gruppo di rumorosi e sguaiati designer lavoravano giorno e notte a quello che sarebbe diventato Grand Theft Auto, suonando musica rock a tutte le ore, fumando l'impossibile e ingurgitando alcohol e caffeina in dosi industriali. GTA era un ribelle dal day one. “Gli sviluppatori avevano inserito una serie di citazioni illustri - Reservoir Dogs - Cani da rapina, i film di James Bond, The Getaway e le scene di inseguimento di The French Connection” (61) a riprova che il gioco aveva ambiziosi extra-schermiche. Questa tensione cinematografica era stata descritta anche dal critico Colin Harvey nel primo saggio critico dedicato al fenomeno pubblicato in Italia, Grand Theft Auto. Motion eMotion (2005).
Race 'n' Chase possiede tutti gli ingredienti di GTA. Il più importante? “La libertà di movimento. Come Elite e altri videogiochi che lo avevano appassionato da ragazzo, Race 'n' Chase era ben più di un semplice gioco per Sam. Era, prima di tutto, un intero mondo. Il gioco si svolge all’interno di tre metropoli finzionali, ciascuna modellata sulla base di una città realmente esistente. Jones, da saggio imprenditore, aveva scelto tre metropoli che avrebbero avuto il maggior impatto sul mercato. E per “mercato” si riferiva agli Stati Uniti. Per tanto, c’era la città delle palme, Vice City, basata su Miami. La collinare San Andreas, ispirata a San Francisco e l’aspra Liberty City, un clone di New York.” (64)
Il producer-consulente Gary Penn è tra i primi a cogliere il portato rivoluzionario del futuro GTA: “Si tratta di un mondo virtuale, non di una storia. Il giocatore dovrebbe essere libero di fare il cazzo che gli pare!” (65). Penn comprende al volo che il vero potenziale del medium videoludico non risiede negli aspetti di "narrazione" definiti a monte dal game designer, bensì dalle inaspettate possibilità di interazione all'interno del mondo digitale, interazioni che solo il giocatore può attivare. E’ questa la caratteristica essenziale dei cosiddetti sandbox games, dei videogiochi aperti. Titoli che sfruttano appieno il potenziale del mezzo - il cosiddetto "specifico" del medium - anziché emulare banalmente le caratteristiche del cinema o della letteratura. E pensare che, ancora oggi, c’è chi si ostina a studiare il videogame secondo modelli narrativi concepiti per romanzi e per le opere cartacee, lineari, testuali...
Kushner descrive inoltre la collisione tra l’industria dei videogame e la legislazione americana, incarnata nella figura del controverso avvocato Jack Thompson. Per oltre un decennio, Thompson ha ingaggiato una battaglia furibonda contro l'industria del divertimento elettronico, accusata di aver corrotto deliberatamente le giovani e influenzabili menti dei giocatori per fini di lucro. Kushner mostra come Rockstar abbia beneficiato del putiferio scatenato da Thompson e come la carriera del celebre avvocato non sarebbe mai esplosa senza episodi controversi come quello di "Hot Coffee" e il massacro del liceo di Columbine. Il giornalista americano illustra inoltre come, a sua volta, l’industria dei videogame abbia abilmente manipolato l’opinione pubblica e i mass media creando shock ad hoc per massimizzare vendite e profitti. In Italia, basti ricordare il caso del videogame Rule of Rose, uno “scandalo” costruito a tavolino da Digital Bros e Mediahook nel 2006 e smascherato dal giornalista della Stampa, Ivan Fulco.
Jacked: The Outlaw Story of Grand Theft Auto é un archivio di aneddoti gustosi e di vere e proprie chicche. Lo sapevate che il logo di Rockstar era stato creato dall’artista americano Jeremy Blake, suicida nel 2007 in situazioni nebulose insieme alla partner - anch’essa artista e game designer - Theresa Duncan? Bret Easton Ellis sta scrivendo una sceneggiatura ispirata alla loro tragica storia. Per questo e per cento altri motivi, vi consiglio caldamente la lettura di un saggio che ha richiesto quasi dieci anni di lavoro. Anticipato da alcuni articoli brillanti - per esempio, "The Road to Ruin. How Grand Theft Auto Hit the Skids" (2007), la migliore "feature story" dedicata ai videogame di WIRED magazine (inedita in Italia) - Jacked é un must read.
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La traduzione italiana del libro di Kushner, intitolata Jacked: La Storia Criminale di Grand Theft Auto, sarà disponibile a maggio grazie alle Edizioni Multiplayer.
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