La pubblicazione del volume curato da Damiano Felini, Video Game Education (2012) ha rilanciato in Itaia il dibattito sull'uso pedagogico del videogioco. Con il saggio "Videogiochi e scuola. Tra uso diretto, indiretto e critico", il giovane ricercatore Alessandro Soriani solleva una serie di importanti questioni sull'argomento e propone tre differenti modalità d’uso dei videogiochi nei sistemi didattici ed educativi: diretto, indiretto e critico. Una trifecta di approcci per sfruttare al meglio il potenziale di un medium spesso ignorato nel contesto formativo italiano.
Videogiochi e scuola: usi diretti, indiretti e critici
Videogame e ambienti formativi. Due mondi che sono entrati in contratto frequentemente specialmente nell’ultima decade tra fallimenti, dubbi, demonizzazioni, illusioni, delusioni... Non sono mancati, tuttavia, risultati incoraggianti, ottime ricerche e contributi significativi da parte di molti studiosi.
Come mai l’attenzione da parte del mondo della scuola verso questo medium si è fatta progressivamente più intensa?
Questa non è la sede opportuna per annoiare il lettore con la cronistoria dell’evoluzione del medium videoludico, ma altrettanto certamente una delle cause di questa crescente attenzione è proprio tale evoluzione, che lo ha portato ad essere da “rudimentale” forma di intrattenimento a sistema maturo e complesso. Accendendo una console è possibile immergersi in mondi, ma soprattutto mondi narrativi così articolati che sorge spontaneo interrogarsi sulla natura artistica di questa forma espressiva. A questo proposito, non deve stupire che la Biennale d’Arte di Venezia abbia dedicato nel 2011 una sezione dedicata proprio al videogioco.
Videogiochi quali proprietà?
Negli ultimi vent'anni, numerosi ricercatori hanno dato il loro prezioso contributo nello studio di questo medium. Ai fini della proposta di utilizzo dei videogiochi per scopi che riguardano l’universo della sfera educational che vorrei avanzare in questa sede, sono davvero interessanti i contributi di James Paul Gee e Jane McGonigal. Entrambi individuano alcuni elementi “chiave” delle dinamiche che si scatenano videogiocando per poi trasferirle in un contesto reale e didattico.
Secondo Gee, ricercatore dell’università dell'Arizona, i giochi elettronici offrono un apprendimento di nozioni basato sulla passione. Si imparano le regole del gioco perché il gioco si appassiona. La loro architettura, caratterizzata da prove via via sempre più difficili ma facilitata da elementi come il salvataggio o piccoli suggerimenti rende l’esperienza di gioco significativa nell’attivare e favorire processi di problem solving e risk taking.
Alcuni giochi permettono di modificare, creare livelli o aspetti del gioco molto facilmente e in maniera autonoma. Ciò permette ai giocatori di non essere solamente consumatori passivi, ma diretti produttori di contenuti. Infine, nelle community che sorgono spontaneamente online, è possibile avere videogiocatori più giovani più bravi di videogiocatori più anziani: non esiste una gerarchia basata sull’età. Si trovano facilmente esperti che aiutano i meno esperti a completare il gioco e a carpirne i trucchi, e che a loro volta, hanno qualcosa da imparare da altri utenti.
Se ci si pensa è un approccio che va contro al classico modello di insegnante che ha le nozioni e le riversa sugli studenti. Si tratta invece di un sapere distribuito, in cui fra pari ci si aiuta a vicenda incrementando il livello “culturale” dell'intera community. (Gee, 2003) Provate ad immaginare un rimodellamento del sistema scolastico prendendo spunto da questi fattori innovativi provenienti dal mondo dei videogiochi!
Jane McGonigal è ancora più ambiziosa. La giovane ricercatrice dell’Institute for the Future di Palo Alto, sostiene che i videogiochi siano così di successo per una serie di motivi che li rendono più appetibili rispetto alla realtà. La realtà è “rotta”, “difettosa” dice McGonigal, e i videogiochi dunque sono meglio perché fanno affrontare ostacoli non necessari, attivano emozioni positive estreme, fanno vivere compiti più soddisfacenti, danno più speranze di successo, rafforzano la connettività sociale, immergono il giocatore in una scala “epica” e lo fanno partecipare senza remore ed ogni volta che può, donano gratificazioni e stimolano ad un impegno maggiore, favoriscono il divertimento e l’interazione con persone sconosciute… insomma se la realtà fosse un po’ più stimolante come lo sono in videogiochi il mondo sarebbe migliore. (McGonigal, 2011)
La situazione sul campo
Tuttavia, la situazione del videogame nelle scuole non è così rosea. Spesso nel contesto formativo, il videogioco è considerato un tabù e i pochi timidi sforzi di farlo uscire da questo status sono sempre molto vincolati da tempi stretti, mancanza di risorse e spesso incompetenza (nel senso di mancanza di conoscenze adeguate) da parte degli insegnanti.
In questo breve contributo, vorrei proporre e mostrare tre differenti modalità d’uso dei videogiochi nei sistemi didattici ed educativi: diretto, indiretto e critico.
Uso diretto del videogioco
La prima proposta d’uso del videogioco potrebbe essere definita come “uso diretto”. Questo tipo d’uso del videogioco è anche quello più usato nei progetti didattici e nelle sperimentazioni fino a questo momento. Prevede l’uso di particolari videogiochi talvolta appositamente scritti per scopi educativi, per esercitare o sviluppare competenze elementari di tipo memorizzazione e riproduzione.
Questo approccio è in particolare molto efficace in contesti ben definiti e controllati, dove le nozioni che si desidera far apprendere agli studenti non richiedono particolari elaborazioni personali, come ad esempio, in un ipotetico target di studenti di scuole primarie, imparare l’alfabeto, fare esercizi su una lingua o imparare operazioni matematiche, ma anche, cambiando totalmente il target, vedere come funzionano le leggi della fisica, imparare a pilotare un aereo, esercitare le traiettorie ideali in una pista o memorizzare schemi di guerriglia o altro ancora.
I due pilastri su cui poggia quest’approccio sono il Situated Learning”e il “Fattore Seducente” del videogioco, discusso da Gee e McGonigal.
Per Situated Learning, in italiano “apprendimento situato” intendo tutti gli approcci didattici che passano per il vedere e provare le cose direttamente. Sperimentare in prima persona, ancora prima che ci si misuri con la teoria, è una pratica che garantisce al processo d’apprendimento un grado di efficacia maggiore rispetto alla semplice lettura o narrazione della nozione stessa. (Lave and Wenger, 1991)
L’uso del videogioco secondo quest’ottica quindi è un uso diretto, dove l’esperienza di gioco è in sé quasi del tutto autosufficiente. Dico “quasi” perché una fase di progettazione, feedback e verifica sono fondamentali per evitare che il momento di gioco sfugga al controllo del docente e si trasformi in un momento di confusionario divertimento.
Videogiochi educativi e didattici, ambienti di simulazione, uso di videogames come forma terapeutica per attività fisiche o di riabilitazione cognitiva o, ancora, come strumento per imparare o perfezionare altre lingue sono alcuni esempi di un uso “diretto” del videogioco.
Uso indiretto del videogioco
A questo punto vorrei introdurre quello che è un diverso uso a cui subentra una piccola novità: non parliamo più di videogiochi appositamente scritti a scopi educativi, ma parliamo soprattutto di videogiochi commerciali, “veri”, nati per il settore dell'entertainment.
Nell’ottica di questo possibile uso dei videogiochi in classe è importante non dimenticare che i prodotti videoludici di oggi sono caratterizzati da un’attenzione quasi maniacale per la trama, la narrazione, la caratterizzazione dei personaggi… oramai il videogioco è sempre più curato in questi aspetti fino ad avvicinarsi alla qualità di un vero e proprio film e viceversa, molti sono i casi in cui film sono tratti da videogiochi, dai primi esperimenti come Super Mario Bros, fino ad arrivare alle ultime produzioni, come Resident Evil, Silent Hill e Prince of Persia.
Non sono rari nemmeno progetti in cui uno stesso universo narrativo è trattato in maniera parallela su diversi medium: ad esempio Matrix (1999) dei fratelli Wachowski è stato poi sviluppato ed esteso tramite una serie di cortometraggi d’animazione, diversi videogiochi e fumetti, tutti che raccontavano una parte diversa e originale della storia. Matrix è soltanto uno dei tantissimi casi in cui questo avviene, che coinvolgono anche altri media come romanzi, serie TV, blog e podcast… una fitta rete di passerelle multimediali che costruisce un universo narrativo prolifico e ricco di riferimenti.
A questo proposito, vorrei introdurre un secondo concetto: l’“Apprendimento Tangenziale”.
L’apprendimento tangenziale si riferisce ad una teoria pedagogica secondo la quale un individuo, qualora stimolato da una certa esperienza, va autonomamente a cercare informazioni aggiuntive e approfondimenti su un argomento incontrato nel corso di tale esperienza anche se in maniera tangenziale e poco approfondita. (Portnow, Floyd, 2008)
Per chiarire ulteriormente il concetto, l’esperienza scatenante può essere di qualunque natura: la lettura di un libro, la visione di un film o di un telefilm, la visione di un quadro, l’ascolto di una canzone, la lettura di una poesia, e persino una sessione di gioco elettronico.
Proviamo ad immaginare un esempio: la saga di Assassin’s Creed. E' inutile raccontare la trama o provare a descrivere le situazioni di questo celebre titolo. Mi basta sottolineare il fatto che tutto nel gioco è riprodotto con una notevole fedeltà storica: città, monumenti, chiese complete di affreschi e mosaici, indumenti del tempo, botteghe degli artigiani, armi e uniformi delle guardie… tutto è minuziosamente riprodotto in maniera assolutamente credibile e viva. Quando ho giocato ad Assassin’s Creed 2, ed è comparso per la prima volta Leonardo da Vinci o Rodrigo Borgia ho pensato immediatamente all’impatto che tale esperienza di gioco avrebbe avuto su uno studente di superiori alle prese con il Rinascimento italiano.
Assassin’s Creed 2 ha venduto milioni di copie. Se anche solo un ragazzo su venti, incuriosito dal gioco, decidesse di documentarsi autonomamente su Rodrigo Borgia (anche solo sulla Wikipedia, per fare un esempio), provate ad immaginare quante persone possiederebbero maggiori informazioni sul famoso pontefice.
Com’è facile immaginare dall’esempio fatto, tutto questo meccanismo è altamente serendipico. Per serendipità s’intende il fenomeno per cui scoperte importanti avvengono mentre si sta ricercando altro, in maniera del tutto fortuita e non prevista.
La quantità di collegamenti esistenti fra i media narranti, videogiochi compresi, è talmente vasta che racchiude davvero un potenziale enorme: quanti di voi guardando Il Gladiatore di Ridley Scott si son incuriositi e son andati a documentarsi sull'esattezza storica degli eventi narrati nel film?
E quanti di voi, giocando ad esempio a Call of Duty, hanno notato che lo sbarco in Normandia era simile alla scena del film Salvate il soldato Ryan? Magari qualche studente incuriosito dal fatto è andato a documentarsi attraverso libri o semplicemente è stato più stimolato a studiare.
L’idea di fondo che vorrei riprendere è perciò quella di “attivare l’apprendimento” negli studenti in maniera che, offrendo loro stimoli personalizzati, essi stessi autonomamente vadano a completare il processo di apprendimento, agganciando concetti, esperienze, fatti storici, persone, personaggi inventati, insomma creando una rete.
Ma se si tratta di un processo fortuito e apparentemente casuale, come può un insegnante sfruttare a suo vantaggio l’apprendimento tangenziale? Ecco alcuni consigli:
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Sapere cos’è l’AT e conoscerne il potenziale;
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Conoscere a fondo l’argomento cui ci si approccia;
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Conoscere a fondo il medium con cui si lavora e le passerelle con altri media;
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Lasciare spazio allo studente, non avendo paura del grado di serendipità presente nel processo;
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Fornire un supporto allo studente non avendo paura di costruire un dialogo con lui: questo processo di apprendimento è un cammino che il docente fa assieme agli studenti;
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Verificare coscienziosamente l'attività didattica e fornire feedback costruttivi e utili agli studenti.
Naturalmente si deve avere l’accortezza di dosare il tempo in classe per presentare e lanciare i diversi stimoli, personalizzati in base alle caratteristiche dello studente, stando bene attenti a monitorare e arricchire di nozioni o altri riferimenti gli studenti.
Una pratica molto efficace potrebbe essere quella di far fare piccole ricerche agli studenti sui percorsi che hanno intrapreso in modo da scoprire che le loro passioni, i loro passatempi hanno un riflesso diretto sulla loro istruzione e sulla loro cultura.
Uso critico dei videogiochi
Infine, il terzo punto: l’uso critico. Si tratta di usare i videogiochi e le proprietà dell’apprendimento tangenziale, per approcciarsi in maniera critica agli argomenti didattici o di attualità. Tutto questo con lo scopo di stimolare gli studenti a ragionare secondo un pensiero critico: una forma di ragionamento che porta a compiere sui propri processi mentali un percorso di discernimento, analisi, valutazione ed infine, azione. In parole più semplici, si tende a ragionare su una particolare questione cercando di vederne tutti i punti di vista e trarne le proprie personali opinioni mantenendo un quadro d’analisi che deve essere il più possibile libero da pregiudizi o preconcetti.
Ma come si possono usare i nuovi media e specialmente i videogiochi in quest’ottica?
Il videogioco è nel bene e nel male uno dei media più “chiacchierati” e “criticati” per un motivo molto particolare: spesso le tematiche affrontate sono rivolte ad un pubblico maturo e, altrettanto spesso, alcuni titoli veicolano in maniera più o meno esplicita tutto un sistema di valori, visioni della società e talvolta anche pregiudizi che possono facilmente influenzare i giocatori più giovani grazie al coinvolgimento che offrono.
Un coinvolgimento ed un “potere” da non sottovalutare: sono molti i videogiocatori che si ricordano ancora a distanza di molto tempo (si parla di decine di anni) dei momenti più intensi e emozionanti vissuti durante le loro sessioni di gioco.
E’ per questo che alcuni videogiochi - per esempio, la serie di GTA o Saint's Row - offrono un perfetto campo di negoziazione di significati.
Se sfruttati nella maniera corretta, in classe, dai docenti insieme ai loro alunni, questi titoli offrono un ricco terreno di discussione e approfondimento per diverse tematiche. Penso ad esempio al tema del razzismo, della legalità, della rappresentazione dei generi. I personaggi di videogiochi, ma anche dei film, sono spesso ancorati a stereotipi o a pregiudizi: le eroine virtuali son spesso ragazze formose e belle, mentre gli uomini sono quasi sempre agili e muscolosi. Vi è poco spazio per le minoranze come gli omosessuali o i diversamente abili e sono rari i casi in cui vengono rappresentate in maniera politically correct, il grado di violenza è alto e le possibilità che si hanno sovente vanno contro l’etica di comportamento “corretto”.
Chiaramente l’insegnante deve essere attento a fornire informazioni e a supportare l’attività con le sue competenze facendo attenzione che il messaggio educativo passi, tramite discussioni in classe, letture alternative ma anche e soprattutto attraverso spunti di ricerca su altri media.
Concludendo, penso che sia davvero importante non ignorare il videogioco all’interno dei percorsi educativi scolastici perché significherebbe ignorare una fetta “mediatica” piuttosto rilevante che esiste, che viene fruita da milioni di giovani, che ha molte potenzialità non ancora consolidate e che, soprattutto se snobbata, rischia di portare con sé anche qualche rischio.
Parallelamente a questo discorso esiste tutt’una serie di giochi appositamente creati per far riflettere i giocatori su diversi argomenti, che possono essere usati sia a supporto sia come elemento di partenza per attività educative.
Qualche esempio…
Sul sito di Paolo Pedercini, altrimenti noto come Molleindustria, è possibile trovare una serie di videogiochi che affrontano temi quali la religione, il lavoro precario o il mercato del petrolio in modo critico. Questi giochi sono un esempio di political-gaming: provate a passare qualche minuto a prendervi cura (proprio come un Tamagochi) di un piccolo lavoratore precario alle prese con la flessibilità del lavoro, o a sfruttare pozzi petroliferi e corrompere presidenti e capi di governo per manovrare i costi dell’oro nero. Oltre ad essere divertenti, questi giochi esemplificano una posizione critica, alternativa, “fuori dal coro”, di grande interesse. Come scrive Pedercini sul suo sito, “Ogni video game - come ogni prodotto culturale - rispecchia la visione del mondo, le convinzioni e le ideologie dei propri autori. Ogni videogame è intimamente politico.” (enfasi aggiunta).
Un secondo esempio di un videogioco che offre il suo punto di vista è l’infinita saga di Kuma Games. Questa software house rilascia con cadenza quasi mensile giochi d’azione che riproducono in maniera “realistica” recenti episodi di guerra ma anche situazioni di conflitti passati (per esempio, la Seconda Guerra Mondiale). Il giocatore si trova a comandare in prima persona soldati durante missioni realtmente svolte. Ad esempio la cattura di Saddam Hussein o la tentata operazione per catturare Bin Laden a Tora Bora. Anche se la struttura e l’intera impostazione del prodotto sono chiaramente pro-americane è interessante notare come si possa usare uno strumento del genere per mostrare agli studenti aspetti che dai telegiornali e dalla stampa è difficile far emergere. La decostruzione critica della simulazione da parte degli studenti rappresenta anche in questo caso un importante momento di appredimento.
Un ultimo esempio è Exmachina 2025. Trattasi di un progetto di “Internet Sans Crainte”, che è il programma francese di sensibilizzazione dei giovani all'uso intelligente di internet. Questo progetto si articola in quattro videogiochi liberamente giocabili via internet gratuitamente, che presentano tematiche differenti: l’uso responsabile dei social network, dei cellulari, dei videogiochi online, delle chat e dei forum.
“Exmachina 2025” non solo fa riflettere sull'impatto delle proprie azioni sui social network, ma offre anche una serie di “agganci” per abbordare anche altri temi come l'affettività, l'uso degli alcolici, ecc... Nel primo episodio, in particolare focalizzato sui social network, infatti, si ha la possibilità di pubblicare o meno foto di tradimenti amorosi o di abusi di alcool e scatenare così un dibattito senza dubbio costruttivo. Questi elementi son già stati usati con successo da alcuni professori in Francia, ma anche in Italia (si veda ad esempio il progetto Hamelin 2.0 del Centro Zaffiria), fornendo feedback davvero interessanti.
Si tratta di tre esempi tra una miriade di videogame "critici" e policiti. L'aspetto che mi preme sottolineare è da soli non bastano per far scoccare la scintilla, anzi in certi casi possono essere del tutto fuorvianti. L’insegnante deve conoscere approfonditamente gli strumenti che usa e deve impostare la didattica in maniera che la presentazione e l’uso di videogiochi, film, libri, canzoni ecc.. non sia fine a se stessa o in sostituzione di un libro noioso da leggere, bensì finalizzata ad arricchire la panoramica culturale degli allievi, in modo che essi riescano a capire autonomamente, vedendo con i propri occhi, differenti punti di vista e argomentazioni.
Spero che, leggendo questo articolo, a qualche insegnante venga voglia di piantare qualche seme in classe, anche soltanto parlando di qualche videogioco, fumetto o romanzo, così come spero che gli studenti di oggi accolgano questi semi e li diffondano ai loro amici e compagni, creando nuove e inaspettate collisioni.
Si farebbero davvero enormi passi da gigante se docenti e studenti si liberassero dalla concezione della scuola come ambiente di apprendimento unidirezionale (dai docenti agli studenti o dai libri agli studenti…) per arrivare a un modello in cui studenti e docenti compiono insieme un cammino responsabile e critico di scoperta e consolidamento di competenze, riuscendo a cogliere gli aspetti migliori dei diversi media.
Tutti, videogiochi compresi.
Riferimenti Bibliografici
Gee, J.P. (2003). What Video Games Have to Teach us about Learning and Literacy. New York, Palgrave Macmillan.
Lave J., Wenger E. (2006). L’apprendimento situato. Dall'osservazione alla partecipazione attiva nei contesti sociali. Milano, Erickson.
McGonigal, J. (2011). La realtà in gioco – Perché i videogiochi ci rendono migliori e come possono cambiare il mondo. Milano, Apogeo.
Portnow J., Floyd D. (2008). Portnow & Floyd’s tangential learning concept for learning contents in videogames. URL (Ultimo accesso: 12 luglio 2012): link
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