Videogiochi e storia: un rapporto complesso, spesso opaco ma non necessariamente conflittuale. Ilaria Ravarino, giornalista, studiosa di videogame ed esperta di machinima dialoga con Matteo Bittanti sul rapporto tra simulazioni elettroniche e narrazioni storiche.
Un'immagine di Sid Meier's Civilization V, Take 2 Interactive, 2010
Ilaria Ravarino: A che punto della loro evoluzione i videogiochi cominciano a interessarsi della storia, e perché?
Matteo Bittanti: L’interesse dei videogame per la storia è tutt’altro che recente. Ma per rispondere a questa domanda è utile definire il concetto elusivo di “storia”. Per quanto mi riguarda, sono stato fortemente influenzato dal pensiero di Hayden White, autore del seminale Metahistory: The Historical Imagination in Nineteenth–Century Europe (1973, tradotto in italiano come Formedistoria. Dallarealtàallanarrazione da Carocci, 2006). White è stato tra i primi a spiegare in modo convincente che la Storia non è tanto una rappresentazione oggettiva di eventi, quanto un costrutto narrativo che utilizza una molteplicità di dispositivi retorici. Secondo White, l’idea che la Storia possa essere considerata una documentazione fedele della cosiddetta realtà e che possa aspirare al rigore della scienza è una posizione ingenua, se non un paralogismo. La Storia non è una raccolta di eventi. È, semmai un complesso di simboli e figure retoriche che definiscono una cornice interpretativa agli accadimenti del passato, inseriti in un contesto etico - “la morale della storia”, per così dire. Lo storico statunitense afferma che l’impulso a narrativizzare la storia risponde ad esigenze pragmatiche prima ancora che ideologiche. In altre parole, la storia procede attraverso una serie di molteplici codificazioni di materiali storici (documenti, risorse, testimonianze etc.) e come tale presenta un florilegio di posizioni irrisolubili perché divergenti e spesso inconciliabili. Questo spiega, per esempio, perché l’interpretazione del passato viene continuamente ridefinita, ripensata e, sopattutto, ri–raccontata attraverso media differenti.
Lungi dal rappresentare una debolezza, la natura narrativa della storia rappresenta il suo punto di forza. Si tratta di riconoscere che la storia è un insieme di storie, il che, com’è facile intuire, è ben diverso dall’affermare che l’atteggiamento attuale è di incredulità nei confronti delle narrazioni totalizzanti, come sostiene Jean–François Lyotard (1979). Secondo l’intellettuale francese, la caratteristica peculiare della condizione post–moderna è il venir meno delle grandi narrazioni metafisiche (illuminismo, idealismo, marxismo) che hanno giustificato ideologicamente la coesione sociale e ne hanno ispirato le utopie rivoluzionarie nell’era moderna. Per converso, White ci invita a prestare attenzione ai modelli, ai formati, e alle formule del racconto storico, un racconto che si appropria e modifica il formato della commedia, della tragedia, della satira e della storia romantica, di cornici ideologiche (anarchia, conservazione, radicalità e liberalismo), di modalità di presentazione (rappresentazione, riduzione, integrazione o negazione), di figure retoriche come (metafora, metonimia, sineddoche e ironia). Questi modelli vengono utilizzati dagli storici per raccontare la Storia.
Con l’emergere del medium videoludico, un medium che presenta caratteristiche differenti da quelli di media lineari come la letteratura o la narrativa (fumetti inclusi), assistiamo a un radicale cambio di paradigma: dalla mera rappresentazione narrativa – ivi intesa come riproposizione di una serie di eventi da parte di un narratore secondo un ordine prestabilito e non modificabile dall’utente – alla simulazione – che richiede la partecipazione attiva del fruitore del testo, dato che il testo in questione presenta caratteristiche di natura procedurale. A questo proposito, condivido pienamente la tesi di Mario Ricco, esposta in un volume antologico su Civilization (2005), che oggi per comprendere la realtà, le narrazioni tradizionali (compresa quella storica) non basta più e le simulazioni diventano importanti strumenti epistemologici. Non va tuttavia dimenticato che, al pari delle narrazioni, le simulazioni rappresentano modelli semplificati del reale. Contengono pregiudizi, presupposti e premesse che vanno esaminate, discusse, criticate.
Un'immagine di Europa Universalis III, Paradox Interactive, 2010
Ilaria Ravarino: Secondo lei cosa aggiunge all’esperienza ludica il background storico? È solo uno “sfondo”? O l’esperienza di giocare un evento realmente accaduto (vivendolo in prima persona o addirittura mutandone l’esito) assume un valore aggiunto?
Matteo Bittanti: Chiaramente, un evento e la sua simulazione rappresentano due fenomeni ontologicamente differenti e per tanto sono incommensurabili. Ogni evento è irripetibile, mentre la sua rappresentazione è sempre uguale. La simulazione, sul piano ontologico, siu colloca a metà strada tra l'evento e la rappresentazione: presenta infatti caratteri ripetibilie irripetibili. Mi spiego meglio: il videogame consente all’utente di creare infiniti mondi possibili, scenari e situazioni generate dalle sue scelte, come ha spiegato perfettamente Marie-Laure Ryan (1992) inunimportantecontributosultema. In questo senso, la ricreazione dell’evento per mezzo della simulazione elettronica rappresenta un fenomeno inedito. L’esito non è il resoconto di un evento, bensì un nuovo evento che condivide alcune affinità con l’”originale”, ma che rappresenta, allo stesso tempo, qualcosa di radicalmente differente. L’originale, in quanto tale, non esiste se non come documento, come artefatto mediato – in forma di fotografia, video, racconto. Condivido le tesi di RichardGrusineJayDavidBolter (1999) per in quali non esiste alcuna realtà che non sia già stata rimediata. Il videogame consente di attualizzare scenari alternativi, “what if” e dunque ripensare la natura stesso dell’evento. A questo proposito, consiglio un bellissimo volume sul tema dello storico britannico Niall Ferguson, Virtual History. Alternatives and Counterfactuals (1997). Ferguson, per altro, è un grande appassionato di Civilization. Ma il vero potenziale del videogame sta altrove: nel sollecitare il giocatore a documentarsi, a leggere, a recuperare altre fonti... Il gioco rappresenta dunque non un punto di arrivo o, peggio, un'esperienza fine a se stessa, ma un punto di partenza, l'inizio di un viaggio di scoperta o riscoperta. In questo senso, il gioco elettronico non sostituisce i libri di storia, i documentari, il cinema, ma li completa. Lo studente del ventunesimo secolo ha a disposizione numerosi strumenti per esplorare il passato.
In Call of Duty: Blacks Ops (Activision, 2010) i giocatori devono assassinare Fidel Castro.
Ilaria Ravarino: Il rapporto dei videogiochi con la storia muta a seconda del genere del videogioco? Per esempio Medal of Honor, Civilization e Assassin’s Creed sono tre campioni che si comportano differentemente nei confronti della storia: lei come definirebbe le tre relazioni?
Matteo Bittanti: Gli sparatutto in soggettiva come Medal of Honor sono l’equivalente videoludico degli action movie di Michael Bay e dello Steven Spielberg di Salvate al Soldato Ryan, nei quali l’evento storico viene presentato sotto forma di pure spettacolo: intenso, adrenalinico, eccitante. Non esiste, a tutt’oggi, l’equivalente videoludico di Terrence Malick. Per lo meno, non ancora. Per loro natura, questi giochi promuovono ideologicamente il conflitto e sono per tanto una forma di propaganda interattiva, riconducibile al concetto di egemonia culturale sviluppato da Antonio Gramsci: creano una forma di consenso soft, attraverso l’esercizio ludico. Presentano conflitti asettici, nei quali i civili non svolgono alcun ruolo significativo o sono del tutto assenti. La morale di questi giochi è manichea, l’etica – come il codice – binaria: buoni e cattivi. I videogame prendono spunto da eventi storici realmente avventui – in genere, battaglie, assedi, raid etc. – miscelando alla simulazione videoludica materiale di repertorio, come video d’epoca (se &quando disponibili, mappe, fotografie, citazioni etc.). Civilization è una simulazione strategica che riprende la logica dei board game e dei wargame, quindi rappresenta l’ultimo esempio di una logica simulativa che ha secoli di storia sulle spalle, come ha magistralmente illustrato Ed Halter nell’indispensabile From Sun TzutoXbox: War & Videogames (2006).
L’appropriazione della storia da parte di Assassin’s Creed rappresenta un fenomeno davvero interessante. C’è una battuta dell’ultimo film di Philippe Garrell, A Burning Hot Summer che ho trovato particolarmente interessante. Un gruppo di francesi in vacanza a Roma, è seduto a un tavolo di un ristorante locale. Uno dei cinque, Achille, a un certo punto esclama: “Gli italiani non hanno combinato niente dai tempi del Rinascimento,” per poi aggiungere, “Mentre noi francesi, per lo meno, ci siamo dati da fare”. “Grazie agli immigrati”, conclude. Una battuta che si applica alla perfezione per Assassin’s Creed: una multinazionale francese (Ubisoft), con sedi in tutto il mondo (da Montreal a Shangai) e che sfrutta una forza lavoro internazionale, crea la Nuova Grande Narrazione del Rinascimento perché gli italiani non sanno che farsene del loro patrimonio storico-culturale. Da anni, il nostro patrimonio storico e culturale è stato sfruttato commercialmente da terzi (Hollywood, Silicon Valley etc.) perché, salvo rari eccezioni, siamo incapaci di farlo direttamente. Considerando che per le giovani generazioni, il videogame rappresenta lo strumeno privilegiato per apprendere la storia, il valore strategico e culturale di Assassin’s Creed non andrebbe sottovalutato. È una delle ragioni per cui occorre prestare particolare attenzione ai messaggi veicolati dai videogame, come spiega Dario Compagno in una monografiadirecentepubblicazione.
Ilaria Ravarino: La storia contemporanea può essere rappresentata/simulata in un videogioco? O serve “distanza”, la stessa che occorre (per esempio) al cinema?
Matteo Bittanti: Premesso e chiarito che ogni forma di rappresentazione storica è una falsificazione dal momento che ogni racconto, per sua natura, omette dettagli, adotta uno specifico approccio retorico per presentare una serie di eventi e veicola in forma esplicita o implicita una determinata ideologia, cinema e videogame presentano aspetti incommensurabili, per quanto vengano spesso affiancati e giustapposti. Il videogame è utilissimo quando si tratta di simulare sistemi complessi o dinamiche in cui la balistica e la strategia sono i fattori dominanti, ergo battaglie, scontri e assedi. Tra il 2003 e il 2005, BBC Two ha trasmesso un’affascinante serie televisiva intitolata TimeCommanders. I creatori si sono serviti di Rome: Total War, un eccellente gioco strategico sviluppato da Creative Assembly e pubblicato da Sega, per ricreare battaglie storiche. Quipuoivedereunesempio. In ogni episodio, degli storici professionisti commentavano la ricostruzione virtuale in studio. Il format ha riscosso un buon successo ed è stato prontamente imitato da History Channel, che nel 2004 ha prodotto DecisiveBattles, una serie TV che utilizzava anche in questo caso Rome: Total War per “raccontare” battaglie celebri dell’Impero Romano.
Nicholas Werner ha realizzato realizzato diversi machinima a tema storico usando l'engine di Total War. Est Mori (2006), per esempio, mette in scena il tranello teso da due capitani cartaginesi ai danni dell'esercito romano. Potentior (2006) è ambientato invece durante le guerre galliche. Werner ha creato questi machinima quando era studente alla Stanford University. Si tratta di un modo originale e innovativo di animare la storia. Invece di limitarsi a leggere e studiare delle narrazioni testuali, una nuova generazione di studenti si serve dei new media in modo intelligente. Il risultato sono narrazioni create a partire dai videogame. Dopo essersi laureato, Werner si è trasferito a Los Angeles per lavorare a tempo pieno per Machinima.com, combinando il proprio interesse per le videogame con le nuove narrazioni.
A mio avviso, tuttavia, lo “specifico” del videogame non consiste nel ricostruire un evento realmente avvenuto, ma nel pre-mediare, pronosticare, pre-vedere eventi futuri. Penso alla premediazione di TomClancy’sRainbowSix: TruePatriots (2013), che ipotizza la radicalizzazione del movimento Occupy Wall Street. Penso anche al futuro “simulato” da un utente di Civilization che ha giocato per una decade alla simulazione strategica di Sid Meier, creando una distopia allucinante. La sua storia, raccontatasullepaginediReddit, è uno degli eventi videoludici dell’anno. Il concetto di premediaizone è stato introdotto da Richard Grusin. Il suo libro non è stato tradotto in italiano per motivi che mi sfuggono, ma nel 2004 avevo tradotto un estratto per la rivista Duellanti. L'ìdea del supercomputer e della super-simulazione in grado di prevedere ogni evoluzioni storica accomunano film e serie televisive come Minority Report, The Matrix, Person of Intereste World on a Wire, il capolavoro proferico (1973!) di Fassbender.
Per quanto concerne il cinema, confesso che trovo molto più interessanti le operazioni di “attualizzazione” e “rilettura” della storia, rispetto alle stucchevoli mega–produzioni in costume. Due esempi: Titus(Julia Taymor, 1999) e Coriolanus (Ralph Fiennes, 2011). Entrambi rileggono la Roma di Shakespeare attarveso il filtro di una contestualizzazione contemporanea. Nel primo, l’influenza videoludica si estrinseca a livello estetico e narrativo (per esempio, alcuni personaggi si dilettano con i videogame). Nel secondo, il ludus elettronico è evidente nelle scene di combattimento modello S.W.A.T. che ricordano gli sparatutto tattico-operativo di Ubisoft. Un volume che affronta il complesso rapporto tra videogame e storia da molteplici angolazioni è PlayingthePast: HistoryandNostalgiainVideoGames (2008), un’antologia di saggi accademici curato da Zach Whalen e Laurie Taylor. Mancano a tutt'oggi studi monografici con un approccio storico su singoli titoli o serie, come Total War. Uno dei miei videogame preferiti in assoluto è Europa Universalis di Paradox Interactive e non escludo prima o poi di scriverci sopra qualcosa. Per il momento ho un mucchio di appunti.
Un’immagine tratta da Coriolanus (Ralph Fiennes, 2011)
Ilaria Ravarino: Lei pensa che i videogiochi possano diventare, a loro volta, documenti storici? Se sì: cosa raccontano, dell’epoca contemporanea, i videogiochi che giochiamo in questi anni?
Matteo Bittanti: I videogiochi sono la forma espressiva della post-modernità. Come tali sono uno specchio deformante e riflettente nostra società. Le simulazioni ludiche attuali, per esempio, ci dicono che siamo ossessionati dalla violenza, come ha confermato il triste spettacolo dell’ultimo Electronic Entertainment Expo di Los Angeles. Ci dicono che siamo omofobi e sessisti, monotoni e prevedibili. Che siamo dei primati con lo smartphone. Che amiamo distruggere le cose che ci circondano. Che siamo incapaci di crescere. Che siamo affascinati dal consumo compulsivo, sublimato attraverso lo schermo. I videogame raccontano la contemporaneità assai meglio di molti altri media. Ma sono documenti storici particolarmente fragili. Preservarli e mantenerli per le future generazioni è un’impresa tutt’altro che facile, come ho potuto sperimentare direttamente lavorando al progetto di DigitalPreservationdei mondi virtuali della Stanford University insieme a Henry Lowood. Per “colpa” della legge di Moore, dell’obsolescenza pianificata e di altre catastrofi, I videogame e i mondi virtuali si “deteriorano” assai più rapidamente dei libri e delle incisioni sulle caverne. Per questo motivo, accolgo con grande entusiasmo la notizia che anche l’Italia avrà un Museopermanentedelvideogame, a Roma, che aprirà ad ottobre e che si aggiunge all’eccellente ComputerSpieledi Berlino. Per presentare la storia del videogame dobbiamo prima di tutto preservarla.
Ilaria Ravarino: Giornalista free-lance diplomata in sceneggiatura presso il Centro Sperimentale di Cinematografia, scrive di cinema e tv per la free-press Leggo e per i magazine Rolling Stone, Paese Sera e Gioia. Ha scritto di videogiochi per i quotidianiTerra e per il settimanale Gli Altri, e dal 2011 cura una rubrica di tecnologia sul mensile The Cinema Show, prima pubblicazione italiana di critica cinematografica su iPad. Membro del comitato nazionale Se non Ora quando?, Lavarino promuove la cultura videoludica all’interno del movimento contro ogni pregiudizio di genere.
Risorse utili
Libro: Matteo Bittanti (A cura di). Civilization, Storie virtuali, fantasie reali, Milano: costa & nolan, 2005.
Libro: David Jay Bolter, Richard Grusin. Remediation. Competizione tra media vecchi e nuovi, Milano: Guerini & Associati, 2003.
Libro: Dario Compagno. Dezmond. Una lettura di Assassin's Creed 2, Milano: Edizioni Unicopli, 2012
Libro: Niall Ferguson. Virtual History. Alternatives and Counterfactuals, New York: Basic Books, 1997.
Libro: Richard Grusin. Premediation. Affect and Mediality After 9/11. New York: Palgrave McMillian, 2010.
Libro: Ed Halter. From Sun Tzu to Xbox: War & Videogames, New York: Public Affairs, 2006,
Libro: Zach Whalen, Laurie Taylor (A cura di). Playing the Past: History and Nostalgia in Video Games, New York, Vanderbilt University Press, 2008.
Intervista: Mario Ricco: lo sterminio dei segni anticipa quello dei corpi