Leggo l'articolo di Angela Manganaro sull'inserto culturale (!) del Sole 24 Ore e resto senza parole. Già il titolo mi lascia interdetto: "Il videogioco è cinema, il restauro è digitale. Dove va la cultura a braccetto con la tecnica" (?). L'ossimoro funziona solo se chi lo utilizza sa di cosa sta parlando. Altrimenti, è faux pas. Affermare che il "videogioco è cinema" richiede una conoscenza per lo meno superficiale di queste due forme espressive. Altrimenti è come dire che "Il teatro è tennis" oppure "La fotografia è slow food". Manganaro si lancia in una filippica di epiche proporzioni che non risparmia davvero nessuno. Si parte da Quentin Tarantino per finire con Assassin's Creed, anzi, creed e restauro. Più che un articolo, un flipper impazzito. Parole in libertà. Affoghiamo in una pozzanghera di luoghi comuni.
Manganaro definisce il videogioco "medium all'americana"(?) ma prende in esame un prodotto di matrice francese - Ubisoft ha sede a Montreuil, Francia -, confondendolo tuttavia con lo sviluppatore, Ubisoft Montreal, il cui quartier generale è situato in terra canadese. Inter nos, l'espressione "medium all'americana" è così idiota che se fosse ancora tra noi, Marshall McLuhan esploderebbe in un "Lei non ha capito un tubo del mio lavoro". "Medium all'americana"? "Giornalismo all'italiana"?
I commenti su Hunger Games sono senza prezzo: "Hunger Games, film in cui il racconto non ha prospettiva, l'ansia è meccanica, la fotografia ricorda i filtri di Instagram: si pensa a scatti di un lager nazista più che alla trasposizione di un romanzo ambientato nel futuro". (?)
Direi piuttosto, pensiero a scatti.
Ah, la perla sui "nativi digitali" merita un tweet. I nativi digitali: se li conosci non ti uccidono.
Quando Manganaro scrive "Anche quelli che non hanno mai preso in mano la consolle di una Playstation possono ora capire come scambiano i media" (?) dimostra di non sapere che PlayStation è una console. Ergo, la frase "prendere in mano la consolle di una Playstation" è priva di senso. Una tautologia. E' un po' come dire: guido la macchina di una vettura.
L'articolo degenera rapidamente: si apre come una riflessione (?) sui media per finire con un attacco allo scambismo. Ah, il termine inglese Creed significa "credo" e non fede (faith) - che ha una connotazione religiosa. Del resto, la doppia "elle" lasciava presagire il peggio.
Alcuni passaggi sono completamente incomprensibili e richiedono un colossale lavoro di decodifica. Esempio:
"Il percorso è inverso a quello tradizionale - nel videogioco-medium il contenuto non si cerca ma si trova - in cui manca però la distinzione fra bene, male, grigio: non c'è un'etica che tesse il racconto, obiezione superata col fatto che Assassins's creed [sic] può essere venduto solo a chi ha più di 18 anni." (?)
Nel pezzo della Manganaro il contenuto proprio non si trova.
In compenso, la forma è inesistente.
Non c'è una logica che collega i vari paragrafi.
Sintassi e grammatica sono in pausa.
Obiezione? Abiezione.
Dopo Tarantino, Corbucci, The Hunger Games, Assassin's Creed si finisce - non si sa come - a parlare di restauro:
"Ricordo che alla scuola di restauro degli Uffizi mi insegnarono che il miglior restauro è quello che non si vede, lavori su una cosa per far vedere che non l'hai mai toccata." (?)
A questo punto, mi arrendo.
Chiudo aiuto ai lettori di Ludologica perché nonostante ripetute letture, non riesco a comprendere il senso del pezzo, ma soprattutto la sua collocazione. Il Gazzettino di Casalpusterlengo? Il Messaggero di Vergate sul Membro? No, Il Sole 24 Ore.
Quasi un deja vu dopo l'intervento di Sandro Ferri sugli ebook.
Se lo standard della discussione sul videogame nel Belpaese è quello definito dal "più autorevole quotidiano italiano" siamo al GAME OVER.
Il Sole 24 Ore? Eclisse permanente.
Immagine: Il Sole 24 Ore
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