Corrado Peperoni discute del potenziale (e dei limiti) del transmedia con Matteo Bittanti, che nel 2008 ha curato il volume Intermedialità. Videogiochi, cinema, televisione, fumetti. Peperoni è Ricercatore presso l’Istat e Dottorando in Scienze della Comunicazione presso l’Università La Sapienza di Roma (ambito di ricerca il Transmedia Storytelling e le diverse altre declinazioni del narrare espanso), a partire dal 2010 ho collaborato con il Dipartimento comunicazione e spettacolo dell’Università RomaTre, con il corso di laurea in Linguaggi multimediali ed informatica umanistica dell’Università L’Orientale di Napoli e con l’I-Lab Luiss, con partecipazioni a workshop e conferenze, docenze e pubblicazioni.
La prima parte della conversazione è stata pubblicata oggi su XMP, il sito di Peperoni.
Di seguito un estratto:
Xmp: Ciao Matteo. Con te, come con molti altri intervistati, parto dalla questione terminologica…Crossmedia, transmedia, intermedia…i termini proliferano, non sempre accompagnati da un solido rigore definititorio. Sono termini intercambiabili – come l’uso che molti ne fanno sembrerebbe suggerire – o rimandano a fenomeni differenti? Puoi orientarci in qualche modo?
Matteo Bittanti: Il termine transmedialità è di matrice americana. Indica un tipo di comunicazione multimediale espansiva. Usando diversi strumenti – dalla televisione ai fumetti, dal cinema ai social network – si contribuisce a creare dei “punti di entrata” attraverso i quali l’utente può immergersi a vari livelli nella narrazione. L’obiettivo di questa “immersione” è fidelizzare il consumatore ed incrementare l’appeal dei proliferanti prodotti correlati. Il transmedia, de facto, è una trappola. Tra i suoi maggiori proponenti spicca Henry Jenkins. Crossmedialità è più diffuso in Italia. I due termini sono usati in modo intercambiabile, anche se il secondo si riferisce più a una opportunità distributiva resa possibile dall’infrastruttura tecnica, che ai contenuti veri e propri. Si usa anche intermedialità, che nei media studies indica i processi di integrazione e convergenza prodotti dalla digitalizzazione dell’informazione, mentre nell’arte contemporanea ha un significato affine a “multimediale” in quanto indica una pratica che si esprime attraverso diversi mezzi e canali di comunicazione*. A mio avviso queste distinzioni non riflettono reali differenze, un po’ come quelle tra Tardo Capitalismo, Post-Moderno, surmodernità, etc. Differenti teorici coniano concetti ad hoc per descrivere fenomeni che presentano caratteristiche comuni o contigue.
Xmp: Una caratteristica delle narrazioni transmediali è quella di prevedere ‘aree’ in cui il pubblico può interagire in maniera diretta con l’universo finzionale, spesso attraverso meccaniche ludiche. Pensi sia una delle tante influenze del rilievo centrale che i videogame hanno acquisito nella cultura popolare?
Matteo Bittanti: Si tratta di sfruttare meccaniche ludiche per “incrementare il coinvolgimento dei fruitori”, anche se in molti casi l’interazione è povera e vanifica la deliberata sospensione dell’incredulità. Io sono della vecchia scuola e ritengo che i libri funzionino davvero quando si comportano da libri, i film da film, i giochi da giochi, le serie TV da serie TV, per quanto oggi un certo modo di intendere la televisione sia sostanzialmente finito. Parlando di transmedia, sarebbe opportuno operare qualche distinzione. C’è un abisso tra il guardare un evento sportivo in diretta comunicando in tempo reale con gli amici attraverso un social network, che so, Twitter – quasi un ritorno della seconda oralità di Ong – o sciropparsi l’intera offerta di prodotti LEGO – dai videogame ai film. La prima è spontanea e non pianificata dai progettisti/designer. La seconda viene creata ad hoc da multinazionali dell’intrattenimento. Dunque: bottom up vs top down. La prima presenta aspetti interessanti, sul piano sociologico, la seconda non ha per me alcun appeal.
* Il termine "Intermedia" è stato teorizzato da Dick Higgins (1938 - 1998) in un celebre saggio del 1966, intitolato "Statement on Intermedia", che descrive la "dialettica" tra media e la vita quotidiana - con i suoi "flussi" in diretta - che avrebbero rivoluzionato l'arte attraverso happenings, progetti mixed media, e forme si appropriazione creativa. Per altro, questo semi-manifesto era stato scritto in polemica con McLuhan, accusato di tecnofilia acuta.
Il testo integrale della prima parte dell'intervista è disponibile qui.
Il volume: Intermedialità. Videogiochi, cinema, televisione, fumetti esplora, a vari livelli, la relazione che sussiste tra i videogiochi e altri media, in particolare cinema, televisione e fumetti. L'aspetto che accomuna i differenti contributi è il desiderio di vedere finalmente riconosciuto il ludus digitale per quello che è un medium dotato di un proprio statuto, autonomia e peculiarità attraverso il confronto diretto con altre espressioni artistiche e culturali. L'ambizione degli autori è offrire una possibile soluzione a un problema sempre più diffuso: la proliferazione di approcci ingenui che confondono le strategie di marketing per rivoluzionarie prassi di produzione culturale. Ai manifesti programmatici, agli slogan e alle liste numerate preferiamo proporre analisi di casi di studio. Questo lavoro rappresenta dunque il punto di arrivo di una riflessione che ha impegnato e impegna ricercatori di varie scuole e formazione, distribuiti tra l'Italia, gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito. La scheda del volume.