Questo saggio è stato presentato nel corso di Visioni ludologiche. Dodici anni di critica videoludica il 20 ottobre 2015 presso l'Università IULM di Milano.
Si tratta della seconda presentazione tratta daOrizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica, il ventisettesimo volume della collana LUDOLOGICA. Videogames d'Autore.
La prima presentazione - "Racing Games vs. Road Movies" - è stata tenuta presso l'Università la Sapienza di Roma, il 28 maggio 2015 ed è disponibile qui.
Il realismo asociale di Forza Horizon
Matteo Bittanti
“La strada è un mondo senza ipocrisie e senza ingiustizie: lì i trucchi non servono, e nemmeno le raccomandazioni. Chi cerca di barare non va lontano. É come nei videogames ma è più eccitante perché è tutto vero. Io vorrei che la mia vita, e la vita di tutti, fosse un videogame, e che le regole della competizione fossero quelle della strada. [....] In un videogame io sarei invincibile. Un eroe: invece eccomi qua, fuori gioco e sconfitto.”
Sebastiano Vassalli (1)
1. Prolegomena. Modi di giocare
Non esiste un solo modo di giocare. Possiamo individuare almeno tre posizioni. Per il giocatore, l’attività ludica è finalizzata alla distrazione. Il critico gioca invece per comprendere. L’artista per creare. (2) Si potrebbe affermare che il giocatore gioca ai videogiochi, il critico con i videogiochi, l’artista contro i videogiochi. Il giocatore, infatti, rispetta le regole del gioco (3), il critico le interroga, l’artista le rigetta (4). Pur presentando qualche affinità, queste tre posizioni si escludono a vicenda (vedi Tab. 1).
POSIZIONE | GIOCATORE | CRITICO | ARTISTA |
OBIETTIVO | DISTRAZIONE | COMPRENSIONE | (RI)CREAZIONE |
RELAZIONE AL VG | USO | STUDIO | ABUSO |
RELAZIONE ALLE REGOLE | RISPETTO | INTERROGAZIONE | RIGETTO |
Tab. 1. Le posizioni di gioco
In questa sede, indosso i panni del critico culturale (5). L’obiettivo di questo esercizio è portare in primo piano l’ideologia sottesa al racing game. L’ideologia è l’insieme di credenze, valori e teorie che regolano una società. Essa produce e insieme comunica una determinata concezione di mondo, il modus operandi di una società. Prodotta dalla classe dominante - che la presenta come l’ordine “naturale” delle cose - il sistema operativo ottimale, desiderabile o realistico (sul piano pragmatico), l’ideologia spesso indossa la maschera del “buon senso”. Secondo Louis Althusser, l'ideologia è una relazione immaginaria a condizioni reali. Il compito del critico è descrivere tale relazione.
Per farlo, vorrei richiamare il celebre saggio di Walter Benjamin “L’autore come produttore” presentato all’Istituto per lo Studio del Fascismo di Parigi il 27 aprile 1934. Benjamin scrive che ogni artefatto culturale veicola, in modo esplicito o indiretto, una determinata ideologia. Aggiunge inoltre che un’opera non esiste indipendentemente dal contesto nella quale è prodotta, distribuita e recepita. Dato che gli artefatti culturali non possiedono una stabilità ontologica, dobbiamo rapportarci ad essi in modalità relazionale. “L’approccio dialettico - scrive Benjamin - non sa che farsene di un oggetto isolato, rigido come l’opera, il romanzo, il libro. Esso va necessariamente collocato nel contesto sociale vivente”. Benjamin spiega che la produzione di opere culturali autenticamente radicali, alternative, capaci di mettere in discussione lo status quo invece di convalidarlo, abbisogna di spazi di sperimentazione, autonomi (6), liberi dai vincoli, dalle convenzioni e dagli imperativi che contraddistinguono quelli istituzionali e industriali. Benjamin non cade nella trappola del determinismo tecnologico: un medium, di per sé, non è reazionario o progressista. Ciò che conta è l’uso che se ne fa. Dopo aver esaminato il potenziale ed i limiti della letteratura, della fotografia, della musica, del reportage giornalistico, Benjamin cita il teatro epico di Bertolt Brecht come modello esemplare di una produzione culturale capace di rivelare le reali condizioni di vita di una classe sociale, anziché riprodurle con uno stile naturalistico e compiaciuto. Il teatro brechtiano, conclude Benjamin, “aliena profondamente gli spettatori dalle condizioni nelle quali vivono”, mostrando la cruda realtà della società capitalistica.
2. Per una definizione di realismo
Un’analisi critica del videogioco - delle condizioni di produzione, distribuzione, ricezione e consumo dell’artefatto videoludico - richiede un’attenzione particolare ai modelli, ai formati, ai generi e ai messaggi dominanti. Nel caso del racing game, l’aggettivo che ricorre maggiormente nelle presentazioni, nei comunicati promozionali e nelle recensioni è “realistico”. Stando ai produttori, il gioco di corsa rappresenta il coronamento delle ambizioni mimetiche della simulazione elettronica, il trionfo della verosimiglianza digitale, il non plus ultra della replica sintetica.
L’insistente retorica è sospetta come l’uso ossessivo di espressioni quali “libero mercato”, “efficienza” e “flessibilità” del credo neoliberista. Sospetta perché dietro a termini apparentemente positivi o neutrali si celano spesso aberrazioni e abomini. A questo proposito, la disamina del concetto di realismo non può prescindere dall’illuminante contributo di Alexander Galloway nel seminale Gaming. Essays on Algorithmic Culture (2006). Ciò che mi propongo di fare in questa sede è riassumere le tesi dello studioso americano e successivamente applicarle a uno studio di caso, il racing game Forza Horizon.
Nel saggio “Social Realism in Gaming”, Galloway afferma che l’analisi del realismo nei videogame richiede un approccio ad hoc. Laddove la nozione di realismo nella pittura, nel cinema e nella fotografia si fonda sulla logica della rappresentazione, nel gioco digitale occorre considerare il fattore performativo (7). Come precisa lo studioso americano,
Il concetto di rappresentazione non copre tutte le caratteristiche fondamentali del videogame. Con rappresentazione s’intende infatti l’uso delle immagini per dare un senso al mondo in cui viviamo. [...] I giochi non sono semplicemente guardati ma agiti: essi prevedono anche il fenomeno delle azioni. [...] Il teorico dei videogame deve esaminare tanto le azioni eseguite dall’utente quanto i mondi fisici o ludici in cui esse hanno luogo. (p. 71)
Due precisazioni. La prima è che nel videogame l’interazione non sostituisce la rappresentazione, ma la integra, dato che si tratta di un medium sia iconografico sia performativo. La seconda è che mentre la rappresentazione presuppone ciò che Galloway chiama il requisito della corrispondenza, l’interazione richiede quello della congruenza. Per chiarire la differenza, Galloway riprende le tesi esposte da Johan Huizinga in Homo Ludens (1939), precisando che laddove la rappresentazione si fonda su una logica mimetica, l’interazione è essenzialmente metetica (8) (vedi Tab. 2).
MEDIUM | PITTURA, CINEMA, FOTOGRAFIA | VIDEOGAME |
PRINCIPIO | RAPPRESENTAZIONE | RAPPRESENTAZIONE & INTERAZIONE |
REQUISITO | CORRISPONDENZA | CONGRUENZA |
LOGICA | MIMETICA | METETICA |
Tab. 2 Una comparizione tra media iconografici e il videogame.
Galloway scrive che la natura performativa del gioco - la necessità, da parte del giocatore di eseguire delle azioni, seppur simboliche - rende il realismo nei videogame più significativo - sul piano cognitivo, ideologico e culturale - rispetto al cinema (9):
Ciò che mi preme sottolineare è che i giochi sono un medium attivo che richiede al giocatore un continuo input fisico: un fare, un agire, un controllare, un premere etc. Pertanto, un gioco dev’essere realistico non solo a livello rappresentativo, ma anche a livello operativo, ossia del fare. E dato che la realtà fenomenologica primaria dei giochi è quella dell’azione (a differenza dello sguardo, come nel cinema, che culmina con quella che Jameson ha chiamato “una fascinazione completa, un rapimento inconsapevole”), ne consegue che a livello strutturale il giocatore sviluppa una relazione più intima con l’apparato stesso e con il corrispondente realismo che esso ingenera. Il giocatore è qualcosa di più di uno spettatore ma qualcosa di meno rispetto a un personaggio diegetico. É l’atto stesso del fare, di manipolare il controller che imbrica il giocatore nel gioco. Per via della natura attiva del videogame, il realismo richiede una speciale congruenza tra la realtà sociale rappresentata nei giochi e la realtà sociale nota al/vissuta dal giocatore. [...] Il requisito della congruenza nei videogiochi impone al game designer non solo di catturare le realtà sociali delle classi svantaggiate, ma anche di ri-collocare il gioco nel contesto sociale di quei giocatori per i quali esso è significativo. (p. 84)
Galloway opera un’ulteriore distinzione tra realisticità (10) e realismo sociale, un’espressione che André Bazin e Fredric Jameson attribuiscono a un certo tipo di cinema. Richiamandosi alle tesi di Jameson esposte nel saggio L”Esistenza dell’Italia”, Galloway definisce realisticità la “concezione ingenua, non-mediata e riflessiva della costruzione estetica”. Essa si distingue dal realismo propriamente detto, che prevede invece una dimensione trans-tecnica. Parlando del cinema italiano del dopoguerra, Bazin contrappone il cinema “realistico” (l’insieme di dispositivi tecnici che permettono di ottenere un’approssimazione fenomenologica del mondo reale) a quello “neo-realistico”, che prevede, tra le altre cose, l’uso di attori non professionisti, le riprese in esterni e non in studio, un montaggio minimo, la minimizzazione degli effetti speciali e così via. La caratteristica fondamentale del neo-realismo, scrive Bazin, è narrativa e non tecnica: “Il neorealismo è una pratica e un’estetica cinematografica sociale, non uno stile realistico di ripresa” (cit. in Galloway, 2004, p. 75). Citando Bruno Reichlin, Galloway aggiunge che il realismo prevede una “disamina clinica delle questioni chiave della società” e rivolge “un’attenzione quasi documentaristica alla sfera del quotidiano”, allo scopo di indirizzare “una critica alla società attuale e alla sua morale”.
Alla luce di queste considerazioni, Galloway afferma che dovrebbero essere definiti realistici solo quei giochi “che riflettono criticamente sulle minuzie della vita quotidiana, sui conflitti, sui drammi personali e sulle ingiustizie che la caratterizzano” (p. 75) (11). Un gioco realistico propone una critica sociale in grado di soddisfare il requisito della congruenza anziché quello della corrispondenza. Dato che un gioco può confermare, legittimare, giustificare e promuovere un determinato set di valori, ideali e credenze, la sua funzione trascende la sfera del mero disimpegno. Aggiunge Galloway:
Il realismo del videogame riguarda l’estensione della vita sociale dell’individuo e si distingue dalla cosiddetta Teoria del Massacro della scuola di Columbine, secondo la quale i videogiochi sarebbero in grado di condizionare la realtà del giocatore, [stimolando un determinato comportamento, ndt] . Per converso, io ritengo che debba esserci una congruenza, una sorta di fedeltà che si translittera dalla realtà sociale del giocatore, attraverso i suoi pollici, all’ambiente del giocatore e, di ritorno, nel gioco stesso. É quello che io chiamo “il requisito della congruenza” ed è necessario per sviluppare un autentico realismo nei videogame. Se tale requisito non è soddisfatto, non si può parlare di realismo. (p. 76)
Galloway precisa che il realismo sociale prevede due elementi fondamentali: in primis, una critica della società e/o della sua morale. In secondo luogo, la capacità di sviluppare o rendere universale il “codice ristretto delle classi soggiogate”, ossia dare voce a una minoranza emarginata, neutralizzata o soverchiata.
In conclusione,
Il realismo nei videogiochi è una relazione tra il gioco e il giocatore. Non una relazione di tipo causale, ma pur sempre una relazione. Questa è una delle ragioni primarie per cui i videogame non possono essere considerati a prescindere dai contesti sociali nei quali sono giocati [...] La fedeltà al contesto è un requisito essenziale per la definizione del realismo nei giochi. (p. 85)
3. Il realismo asociale di Forza
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida simulata esamina due racing game prodotti da Microsoft Game Studios, Forza Horizon e Forza Horizon 2, pubblicati rispettivamente nel 2012 e nel 2014 per Xbox 360 e Xbox One. Descritti dai produttori e celebrati dalla critica come esempi paradigmatici di realismo videoludico, questi giochi di corsa tradiscono l’intento del realismo sociale descritto da Galloway al punto che si potrebbe considerarli esempi di realismo asociale.
In questo contesto, il racing game non è considerato una forma di disimpegno “neutrale”, un prodoto dell’intrattenimento di massa, bensì un artefatto culturale che partecipa e supporta una determinata ideologia, un’ideologia che il sociologo britannico John Urry (2004) ha chiamato automobilità, ossia:
Un sistema non-lineare, auto-formante, auto-poietico, che si sviluppa a livello mondiale e che include, automobili, automobilisti, strade, fornitori di petrolio e molti oggetti, tecnologie e simboli.
L’automobilità è una fitta rete di relazioni che ruotano attorno all’automobile, una tecnologia che definisce alcuni aspetti fondamentali dell’esperienza quotidiana: dalla struttura del territorio all’organizzazione sociale, dal sistema economico alla sfera ecologica. Già nel 1970, Marshall McLuhan affermava che l’automobile non è un medium. In una conferenza presso la University of South Florida intitolata “Living in an Acoustic World”, il teorico canadese chiarisce il significato della celebre espressione “Il medium è il messaggio” usando come esempio l’ambiente tecnologico, sociale, culturale ed economico prodotto dall’autoveicolo:
Quando affermo che il medium è il messaggio, intendo dire che l’automobile non è un medium. Il medium è l’autostrada, le fabbriche e le compagnie petrolifere. In altre parole, il medium dell’automobile è l’effetto prodotto dall’automobile. Se non si considerano gli effetti, il significato stesso dell’automobile viene meno. In quanto oggetto di ingegneria, l’automobile non ha nulla a che fare con questi effetti. L’automobile è una figura in un contesto di servizi. Modificando il contesto, l’automobile cambia. L’automobile non è un medium: è uno degli effetti principali del medium. Per questo motivo, “il medium è il messaggio” non è un’osservazione banale e ho sempre esitato a spiegarla. Questa frase indica che ogni innovazione crea un ambiente nascosto di servizi e che questo ambiente nascosto di servizi è ciò che modifica le persone. É l’ambiente a cambiare le persone, non la tecnologia. (McLuhan, 1970)
Come si rapporta il racing game all’automobilità? Qual è la relazione tra Forza Horizon e il concetto di realismo discusso da Galloway?
Non deve stupire che l’attenzione degli sviluppatori sia rivolta, in modo pressoché esclusivo, alla creazione di un realismo ingenuo, ovvero alla mera riproduzione mimetica dell’oggetto-auto, dell’automobile intesa come artefatto ingegneristico - non a caso, il famigerato realismo si riduce quasi esclusivamente alla traduzione digitale delle caratteristiche tecniche di un veicolo “vero” (potenza, accelerazione, cilindrata, velocità massima etc). La traduzione è tuttavia anche un tradimento. L’ambiente nascosto di servizi di cui parla McLuhan è deliberatamente ignorato. I costi sociali, economici e ambientali associati al sistema dell’automobilità - che negli Stati Uniti esacerbano una già spaventosa disuguaglianza sociale ed economica - non fanno parte della simulazione.
In Carjacked (2010), Catherine Lutz e Anne Fernandez Lutz ci ricordano che negli Stati Uniti, il sistema dell’automobilità ridistribuisce la ricchezza verso l’alto, incrementando il gap economico tra le classi. In che modo? In primo luogo perché il costo dell’automobile impedisce alle famiglie meno abbienti di trovare e mantenere un lavoro stabile. La mancanza di un sistema di trasporto pubblico adeguato nelle zone rurali e suburbane, ma anche in molte città, rende pressoché indispensabile l’uso dell’automezzo.
In secondo luogo, i membri delle classi operaie e medie spesso si indebitano per acquistare e mantenere un’auto. L’automobile è un bene costoso che si deprezza rapidamente: uscendo da un rivenditore, il valore del mezzo è già diminuito del 30%. Questi due aspetti rappresentano una condanna per i meno fortunati: è quasi impossibile vivere senza un’auto in America. Ma sempre più individui vivono per l’auto, dal momento che il loro mezzo di sostentamento richiede spese continue, dall’assicurazione alla benzina, senza tralasciare i costi imprevisti, dalle multe alla manutenzione straordinaria, per non parlare degli incidenti, che spesso conducono intere famiglie sul lastrico, complice un sistema di “assistenza sanitaria” fondato sul principio del Darwinismo sociale. Non vanno poi dimenticati gli individui che vivono nell’auto perché non possono permettersi un alloggio. A San Francisco ne ho visti tanti.
In terzo luogo, l’automobile consolida il sistema plutocratico su cui poggia la nazione americana. Non a caso, le famiglie più benestanti rivestono posizioni chiave nei settori che supportano e amministrano il sistema dell’automobilità: l’industria, l’energia e l’intrattenimento. I videogiochi commerciali partecipano ai processi di indottrinamento consumistico senza mettere in discussione lo status quo. La loro funzione è legittimare l’ideologia dell’automobilità e generare acquiescenza politica. Forza Horizon non solo non dà voce al “codice ristretto” delle classi soggiogate, ma celebra i valori e lo stile di vita dell’1%.
Per tanto, il gioco di corsa svolge una funzione aspirazionale: Horizon celebra il mito della mobilità individuale in un contesto sostanzialmente immobile, stagnante, considerando che la mobilità sociale è una pura fantasia. Il realismo di Forza è puramente virtuale. Piuttosto che di realismo sociale, si dovrebbe parlare di realismo asociale nella misura in cui la simulazione ignora completamente le conseguenze dell’automobilità sulla società e sulla collettività, perpetuando il mito dell’individuo-imprenditore che, grazie all’impegno, al talento personale e all’auto-determinazione, si afferma in un contesto meritocratico. Infatti, n sinonimo di asociale è individualista, concetto sul quale si fonda l’Ideologia Californiana e la teoria dell’eccezionalismo americano. É asociale colui che “Non ha coscienza sociale” (Garzanti) ed è “Privo di sentimento della socialità, insensibile ai motivi e ai problemi sociali” (Treccani).
La produzione di racing game realistici non è stata, fino a oggi, contro-bilanciata da una produzione di titoli neo-realistici (12), ovvero di giochi che simulano il medium dell’automobile, il contesto sociale della guida, l’ambiente prodotto dall’automobilità. Il modello iconografico del ludus digitale motorizzato è l’immaginario pubblicitario, che McLuhan aveva definito “La forma autodistruttiva di pubblico divertimento” (p. 214). Lungi dall’alienare i giocatori, disvelando le reali condizioni di vita seguendo il modello brechtiano, il videogame-pubblicità è una promessa di felicità. “È l'odore di una auto nuova, è la libertà dalla paura, è un cartellone a bordo della strada che urla rassicurante che qualsiasi cosa tu stia facendo va tutto bene” per dirla con Don Draper. I racing game, Horizon incluso, sono spot pubblicitari interattivi (13) che ignorano le reali condizioni e conseguenze della guida, una pratica che prevede un consumo di benzina (che in Horizon non è quantificato e dunque non esiste); una complessa infrastruttura (dalle stazioni di servizio sparse sul territorio alla costruzione, manutenzione ed espansione dei sistemi di viabilità che in Horizon non sono considerati e dunque non esistono); le logiche sottese all’approvigionamento del greggio (che nella maggior parte dei casi presuppongono guerre, conflitti, corruzione, incidenti catastrofici); l’inquinamento ambientale prodotto dagli autoveicoli (che in Horizon non è considerato e dunque non esiste) e dal sistema dell’automobilità nel suo complesso; le conseguenze del trasporto individuale (per esempio, il traffico persistente, aspetti tradizionalmente ignorati nei giochi di corsa dove le tangenziali sono vuote e i tamponamenti privi di conseguenze); la condizione sostanzialmente statica dell'automobile (che per il novanta percento del tempo è immobile, parcheggiata in un garage, sul marciapiedi o ai bordi delle strade, mentre nel racing game è in costante movimento); gli esiti degli incidenti (ogni anno, un milione e duecentomila persone muoiono sulle strade, l’equivalente di un Boing 747 che si schianta ogni ventiquattro ore); la durata del tragitto (negli Stati Uniti, il tempo medio per raggiungere il posto di lavoro è di cinquanta minuti. Considerando che la forza lavoro americana ammonta a circa cento venti milioni di persone, ogni giorno i pendolari “investono” sei miliardi di minuti nel traffico). L’auto videoludica non si arrugginisce né si deteriora. Ha gomme che non si forano mai. Monta un motore che non si guasta, privo di ingranaggi e pistoni. Il suo bagagliaio non contiene valigie o borse della spesa. Non richiede il pagamento di un’assicurazione, né tasse di immatricolazione. Le strade videoludiche sono sempre linde e ordinate, a differenza di quelle che conosciamo, con bordi decorati da rifiuti abbandonati, borse di plastica, lattine e cicche di sigarette. Sulle strade di pixel e poligoni non ci s’imbatte nelle carcasse martoriate di incauti animali stritolati dalle ruote. In breve, quello che la psicanalisi definirebbe il “rimosso”, qui corrisponde al “non simulato”: ciò che si colloca al di fuori del sistema ideologico dominante non fa parte del gameplay.
Cosa c’è di realistico in un racing game?
In Forza, il requisito della corrispondenza è (parzialmente) soddisfatto mentre quello della congruenza (ivi inteso come la fedeltà al contesto sociale del giocatore) è in gran parte tradito. Schizzando sulle strade vuote di Horizon a bordo della mia Ferrari, dopo una giornata spesa nel traffico - incapsulato nel mio carapace di plastica e metallo, carne inscatolata su quattro ruote - sono giunto alla conclusione che il racing game sussiste nella zona grigia tra le illusioni pubblicitarie e le delusioni del reale, a metà strada tra i non-luoghi e il junkspace.
É per questa ragione che ogni sera, prima di coricarmi, prego il Signore perché mi compri una Mercedes-Benz. Tutti i miei amici guidano Porsche e devo fare ammenda. Ho lavorato duro per tutta la mia vita, senza il minimo aiuto da parte dei miei amici, quindi, oh Signore, perché non mi compri una Mercedes-Benz?
Note
1. Sebastiano Vassalli, “Volevo essere l’eroe di un videogame”, da La morte di Marx e altri racconti, Torino, Einaudi, 2006, p. 70.
2. Tale creazione spesso richiede la distruzione dell’oggetto gioco. Alla distrazione del giocatore si contrappone dunque la distruzione creativa dell’artista.
3. Anche quando imbroglia, per es. usando un cheat mode.
4. Il rifiuto delle regole è la condizione necessaria, ma non sufficiente, della produzione artistica.
5. Si noti che il critico culturale e il recensore della stampa specializzata sono figure differenti, solitamente antitetiche.
6. Al critico non spetta il compito di creare tali spazi, ma, quanto meno di renderli visibili dato che la loro rilevanza culturale è analoga, anzi, superiore a quelli “istituzionali” e “industriali”.
7. Galloway cita tre tipologie o “momenti” di realismo: narrativo (caratteristico della letteratura), iconografico (tipico della pittura, fotografia e film) e performativo (videogioco).
8. Nel suo fondamentale studio sulla cultura del gioco, Homo Ludens, Huizinga spiega che quando il rito non è figurativo, ma performativo, l’identificazione tra il performer e la performance non è semplicemente mimetica, ma metetica: “L’azione figura un avvenimento cosmico, non soltanto però come rappresentazione, ma come identificazione. Essa ripete quell’avvenimento. Il culto causa l’effetto raffigurato nell’azione. La sua funzione non è un puro e semplice imitare, ma un partecipare, nel doppio senso di comunicare e di co-agire.” (Huizinga, 1946, p. 19)
9. L’enfasi sull’interazione, sul ruolo attivo del giocatore nella costruzione del testo, non si pone come obiettivo la feticizzazione della dimensione squisitamente tecnologica del videogame. Semmai, l’aspetto co-partecipativo del medium rimanda alla tesi di Benjamin secondo cui la trasformazione del mero fruitore (spettatore, lettore, giocatore) in autore può, in determinate condizioni, muovere una critica all status quo.
10. In originale, realisticness.
11. Si noti che Galloway distingue tra videogame che hanno come primario obiettivo la “ricostruzione mimetica della vita reale” e quelli ambientati in mondi fantastici, ovvero caratterizzati da mondi e narrazioni finzionali, interpretati da personaggi di fantasia. Galloway riconduce al primo gruppo titoli come SOCOM: US Navy Seals, The Sims, NFL Madden, al secondo, Final Fantasy, Grand Theft Auto e Unreal Tournament. Questa classificazione richiede un’ulteriore precisazione. Galloway parla infatti di videogame contraddistinti da “narrazioni realistiche” - giochi nei quali le premesse narrative e le azioni eseguite hanno un esatto corrispettivo nella quotidianità, per esempio, preparare la cena in The Sims - e “rappresentazioni realistiche” - giochi dotati di motori grafici sofisticati capaci di simulare azioni e movimenti realistici, pur proponendo situazioni del tutto finzionali. È il caso di Unreal Tournament, un gioco di fantascienza ambientato su pianeti inventati, i cui orientamenti estetici sono più vicini al fotorealismo rispetto a The Sims.
12. O protorealistici, per usare l’espressione di Galloway, ibidem.
13. Oggi le case automobilistiche usano i videogame come strumenti di marketing avanzato. Il caso paradigmatico è Toyota, che in collaborazione con lo studio nipponico Polyphony Digital Inc. utilizza Gran Turismo 6 come piattaforma di lancio - o meglio, vetrina - dei suoi nuovi modelli. Nel 2014, la casa nipponica ha presentato l’FT-1, una serie di concept car fruibili esclusivamente nella simulazione di corsa di Sony. Scaricabile via internet, L’FT-1 rappresenta un’anticipazione del rilancio della Supra, un veicolo che Toyota ha smesso di produrre nel 2002.
Bibliografia
Benjamin, Walter. “L’autore come produttore” in Aura & choc. Saggi sulla teoria dei media. Torino: Einaudi, 2012, pp. 147-161. [1934]
Galloway, Alexander. “Social Realism in Gaming”, in Gaming. Essays on Algorithmic Culture, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2006. [2004]
Huizinga, Johan. Homo Ludens. Torino: Einaudi, 1946. [1939]
Jameson, Frederic. “L’esistenza dell’Italia” in Firme del visibile. Hitchcock, Kubrick, Antonioni. Roma: Donzelli, 2003, pp. 155-205.
Lutz, Catherine & Fernandez, Anne Lutz. Carjacked: The Culture of the Automobile and Its Effect on Our Lives. New York: St. Martin’s Press, 2010.
McLuhan, Marshall. Gli strumenti del comunicare. Milano: Il Saggiatore, 2001 [1964].
Urry, John. "The System of Automobility", Theory, Culture & Society, October 2004, vol. 21, no. 4-5, pp. 25-39.
Vassalli, Sebastiano. La morte di Marx e altri racconti. Torino: Einaudi, 2006.
Collegamenti
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica: Racing Game vs. Road Movie (PARTE PRIMA, Roma, 28 maggio 2015)
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica: Questioni di realismo (PARTE SECONDA, Milano, 20 ottobre, 2015)
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica: Cenni di Fotoludica (PARTE TERZA, 26 ottobre, 2015)
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica