Questo saggio è un'anticipazione di Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica (2015) di Matteo Bittanti, pubblicato dalle Edizioni Unicopli di Milano nella collana LUDOLOGICA. Videogames d'Autore.
PRESENTAZIONE
SAGGIO
I fantasmi nella macchina
Un post-mortem di Orizzonti di Forza
Matteo Bittanti
Alcune domande a cui tento di rispondere attraverso Orizzonti di Forza sono: Perché il racing game, oggi? Cosa vuol dire giocare a guidare? Chi simula lo spostamento in automobile?
In breve: qual è il metodo ermeneutico più appropriato per comprendere il gioco di corsa?
Al termine di un lungo viaggio, dopo aver parlato con centinaia di giocatori, online e offline, ho concluso che l’appeal della guida simulata è sintomatico di un fenomeno complesso che trascende la sfera puramente ludica e che presenta implicazioni sociali, culturali, economiche ed estetiche.
Per molti, la simulazione della guida rappresenta un’alternativa rispetto alla “cosa reale”. Detto altrimenti, Forza Horizon, Gran Turismo, Need for Speed et similia suppliscono a una mancanza, vera o percepita: quella del mezzo motorizzato. Tale carenza ha motivazioni legali (per esempio, il mancato conseguimento della patente, oppure il suo ritiro, temporaneo o definitivo); economiche (nell’era della crisi persistente, sempre meno individui possono permettersi l’acquisto e mantenimento di un’autovettura) o personali (al mezzo privato, molti preferiscono il trasporto pubblico, cicli/motocicli e/o servizi di car sharing).
Per altri, il racing game rappresenta un’integrazione alla guida “reale”. In questo senso, il successo commerciale e critico del gioco di corsa riveste una particolare importanza in una fase storica che vede le principali città europee impegnate a combattere un’epica battaglia contro l’automobile (Moss, 2015). Nell’ultima decade si è verificata infatti una lenta, ma sistematica riduzione del traffico urbano, stimolata dalla pedonalizzazione di interi quartieri prima dominati dalle quattro ruote; dall’accesso a pagamento di zone e distretti; dalla riduzione degli spazi dedicati ai parcheggi e/o all’incremento del costo della sosta temporanea. Persino in una metropoli iper-motorizzata come Milano, il parco autocircolante è diminuito di centomila unità tra il 2000-2014, stando ai dati forniti dall’ACI (De Vito, 2015). (1) Cifre significative per una nazione, l’Italia, che può “vantare” il più alto numero di autoveicoli per abitante in Europa, dopo il Lussemburgo. Nei paesi scandinavi si sta addirittura tentando di bandire le autovetture sul territorio cittadino: il nuovo consiglio municipale di Oslo guidato dal partito ambientalista e dalla sinistra ha annunciato la decisione di vietare la circolazione degli automezzi in città a partire dal 2019, promettendo la costruzione di sessanta chilometri di nuove piste ciclabili (Orphanides, 2015).
Si potrebbe affermare che nel momento in cui la guida su strada si fa progressivamente più difficoltosa - per via di barriere architettoniche, nuovi vincoli e divieti, costi ed effetti collaterali (ex. traffico permanente, inquinamento fuori controllo) etc. - il racing game assurge a paradigma della guida tout court. La simulazione ludica va allora concepita come una sorta di Idea platonica: perfetta, immutabile, ontologicamente superiore alle "copie" mondane, realtà di secondo grado. Nella simulazione non esistono infatti pedoni, limiti di velocità, sanzioni, aree chiuse al traffico, congestione persistente, barriere architettoniche che rallentano i veicoli… Il corollario è che c’è ben poco di realistico nei racing game (2). Inteso come supplemento alla guida in quanto tale, la simulazione non è tanto una sostituzione simulacrale, à la Baudrillard, quanto una riconfigurazione del rapporto tra il tangibile e il digitale. L’immaginario videoludico realizza le promesse della guida “libera”, priva di conseguenze e costi, dell’immaginario pubblicitario. (3) Si noti che questo fenomeno - la simulazione come realtà ideale - non riguarda solo la pratica della guida, ma anche il lavoro tout cort: in Francia, un esercito di disoccupati "gioca" al lavoro grazie all'EEP, acronimo di Entreprise d'Entrainement Pédagogique, o Azienda di Allenamento Pedagogico, finte società in cui finti dipendenti simulano le pratiche di lavoro quotidiano, per riempiere le loro giornate altrimenti vuote, mantendole attive durante una fase (magari permanente) di disoccupazione (e sorge spontaneo domandarsi se i finti lavoratori abbiano perso il posto per colpa di un algoritmo). Come spiega Montefiori (2015),
Una Eep accoglie da 60 a 90 lavoratori all'anno, che ricevono una busta paga mensile anche quella fittizia: serve per prendere dimestichezza con le diverse voci del salario, ma a fine mese i soldi arrivano dal sussidio di disoccupazione e dai vari aiuti sociali.
Un secondo aspetto importante è che la guida simulata si svolge negli spazi del codice, spazi regolati da algoritmi. Considerando che la logica algoritmica sta progressivamente colonizzando il reale, occorre prestare la massima attenzione alla simulazione. La simulazione infatti non segue il reale, ma lo precede. (4) Si pensi, per esempio, al dibattito sul veicolo auto-guidante, un dibattito dominato dalla retorica messianica di Google e Tesla. (5) L’auto automatica e autonoma, elettrica e senziente, è descritta come un’innovazione tecnologica in grado di “salvare il mondo” dalla tragica inefficienza dell’autovettura a combustione. L’operazione di salvataggio prevede l’eliminazione del guidatore umano, o meglio, la sua sostituzione da parte del computer, nonché la completa automatizzazione del sistema dei trasporti su ruota. Com’è noto, il progetto è in fase avanzata di sviluppo. Il 15 ottobre 2015, Tesla ha introdotto l’opzione Autopilot (pilota automatico, Fig. 1) che introduce la guida algoritmica sui modelli più recenti (Model S). (6)
Fig. 1 Un’illustrazione del sistema di navigazione semi-automatica e “intelligente” delle vetture Tesla (fonte The Verge).
Fig 2. L'interfaccia grafica di Autopilot per Tesla Model S è chiaramente videoludica (Immagine: Tesla)
Attualmente disponibile in stato beta, Autopilot consente al sistema di navigazione computerizzato di assumere il controllo del veicolo, rallentando, accelerando, cambiando corsia e parcheggiando a seconda delle situazioni. Parlando degli algoritmi che gestiscono il software, quella figura randyana altrimenti nota come Elon Musk, CEO di Tesla, ha dichiarato:
Essenzialmente, [l’algoritmo, ndt] è come una persona, capace di selezionare il tragitto più rapido per raggiungere una determinata destinazione. Con il passare del tempo, diventa perfino migliore di una persona. “Non si stanca mai, non consuma alcolici, non litiga con i passeggeri… In breve non si distrae. (Elon Musk, cit. in Charlton, 2015) (7)
La sostituzione del pilota umano da parte della macchina preannuncia il mondo descritto da Robert Venditti e Brett Weldele nella graphic novel The Surrogates (2005-2006). Nel fumetto, adattato per il grande schermo da Jonathan Mostow nel 2009 (il titolo italiano è Il mondo dei replicanti), androidi indistinguibili dagli esseri in carne e ossa sono comandati a distanza dai rispettivi “padroni” e trasmettono le percezioni dell’ambiente in cui si trovano. I surrogati robotici, de facto, vivono al posto degli esseri umani, sostituendosi a loro non solo in situazioni pericolose, ma anche nelle faccende quotidiane. Tra le attività che gli esseri umani hanno delegato alle controparti robotiche c’è la guida. Nel mondo del 2015, il surrogato non si presenta sotto le spoglie di un androide, bensì di un algoritmo: attraverso i videogiochi “esternalizziamo” le nostre esperienze, vivendo in forma vicaria situazioni che nella vita reale sono (o saranno) gestite dalla macchina. Nel caso di Forza Horizon 2, il guidatore umano viene rimpiazzato dal suo clone algoritmico, il Drivatar, un tema discusso in modo approfondito in Orizzonti di Forza: ancora una volta, il videogame anticipa il reale.
Fuor di allegoria, il tema della sostituzione si lega inevitabilmente anche all’ansia della ridondanza, ossia al fatto che le macchine stanno rendendo progressivamente inutili gli esseri umani. Secondo numerosi studi, nel momento in cui la guida automatica diventerà standard, milioni di persone perderanno il proprio lavoro: in primis, i conducenti dei camion, dei taxi e degli autobus, senza considerare coloro che operano nei settori correlati, tra cui le assicurazioni, i parcheggi, i corrieri (la cui obsolescenza, per altro, verrà accelerata dall'introduzione dei droni). L'eliminazione del guidatore umano - e in particolare dei suoi fabbisogni economici - non è un effetto collaterale, ma un obiettivo esplicito. Hiroshi Nakajima, il CEO di Robot Taxi, un'azienda nipponica che sta sviluppando taxi automatizzati pesnati per rimpiazzare la flotta esistente, ha recentemente dichiarato:
Se consideriamo i taxi guidati da umani, il 70% dei costi è legato alla manodopera. Se potessimo rimpiazzarli con [l'intelligenza artificiale], penso che potremmo fornire ai clienti un prezzo assai appetitoso. (Hiroshi Nakajima, cit. it. Dan Frommer, 2015)
La disoccupazione tecnologica è solo una delle conseguenze delle cosiddette innovazioni disruptive (distruttive) celebrate dai deterministi tecnologici di WIRED e agli integralisti della "megamacchina". (8) Possiamo prevedere che, in un mondo di veicoli autonomi, il racing game diventerà l’unica forma possibile di guida: è legittimo ipotizzare che, in un prossimo futuro, la conduzione degli autoveicoli sarà inibita agli esseri umani per ragioni di sicurezza. (9)
Una delle ragioni per cui studio i videogame da oltre vent’anni è che la fantasia del virtuale spesso prefigura e anticipa scenari, situazioni e realtà mondane. Nell’era della gamification (in italiano, ludicizzazione), la nostra quotidianità è praticamente indistinguibile da The Sims, la simulazione ludica di Will Wright introdotta nel febbraio del 2000. Il controllo totale a cui il giocatore si sottopone volontariamente quando prende parte a un videogioco coincide con l’esperienza quotidiana della popolazione che quantifica ogni aspetto della propria esistenza e, nel contempo, spia se stessa, fornendo gratuitamente una pletora di informazioni personali a corporation, istituzioni, enti governativi ogni volta che utilizza uno smartphone, un browser internet, una carta di credito, un badge. Questo scenario insieme orwelliano e huxleliano insieme è stato anticipato dal medium del videogame, che ha realizzato la società del controllo descritta da Gilles Deleuze (1990), una società segnata dal monitoraggio costante, dalla sorveglianza pervasiva, dalla statistica normativa:
Il linguaggio digitale del controllo è fatto di cifre che segnano l'accesso all'informazione, o il rifiuto. Non ci si trova più di fronte alla coppia massa/individuo. Gli individui sono diventati dei "dividuali", e le masse dei campioni statistici, dei dati, dei mercati o delle "banche".[...] Non c'è bisogno della fantascienza per concepire un meccanismo di controllo che dia in ogni momento la posizione di un elemento in ambiente aperto, animale in una riserva, uomo in una impresa (collare elettronico).
Analogamente, le autovetture di ultima generazione montano vere e proprie scatole nere che registrano ogni dettaglio della guida, tra cui gli spostamenti dei conducenti (Wingfield, 2015). Le telecamere disseminate per le strade “leggono” la nostra targa così come i nostri volti, grazie ai sistemi di riconoscimento facciale. Il telepass comunica a terzi dove, quando e come guidiamo. E se gli hacker riescono a controllare da remoto il veicolo motorizzato, assumendo il controllo del computer di bordo, aziende del calibro di Volkswagen non esitano a ricorrere a cheat mode per “imbrogliare” e ingannare i test di rilevazione dell’inquinamento. Che la guida stia diventando progressivamente sempre più videoludica lo confermano anche gli esperimenti di Jaguar Land Rover, che nel 2014 ha introdotto sui modelli di fascia alta un parabrezza virtuale denominato 360 Virtual Urban Windscreen dotato di un’opzione nota come “Follow-Me Ghost Car Navigation” (Figg. 3 & 4) (10). Questa tecnologia, modellata sulla modalità di gioco “Ghost” dei racing game, visualizza sul parabrezza/schermo l’immagine elettronica di un veicolo che si sovrappone alla strada per facilitare la navigazione negli spazi urbani. Nei giochi di corsa, un’automobile fantasma ripete l’itinerario percorso in una precedente sessione: qui il ghost è un doppio fantasmatico del giocatore, un avversario da sfidare e superare. Le vetture Jaguar, applicano la ludologica al reale, per cui schermo, parabrezza e finestra (intesa come Windows) finiscono per coincidere. Del resto, oggi le automobili sono computer a quattro ruote che montano un hardware e un software videoludico. L'esempio paradigmatico è Nvidia. La tecnologia dell'azienda leader nel settore delle schede grafiche capaci di visualizzare immagini di sintesi foto-realistiche è presente in oltre otto milioni di automobili e secondo il CEO Jen-Hsun Huang, la cifra dovrebbe salire a 30 milioni entro quattro anni (Paul Ingrassia e Naomi Tajitsu, 2015).
Figg. 3 & 4. Jaguar Land Rover, “Follow me Ghost Car Navigation”, 2014. (fonte: Jaguar Land Rover)
La capacità dell’algoritmo di influenzare il reale è particolarmente evidente a livello dello sport professionistico. Un esempio paradigmatico è il sofisticato sistema di tracking dei giocatori della NBA, introdotto nel 2013: sei telecamere mobili seguono ciascun giocatore durante tutti gli incontri (11). Il software sviluppato da SportVU riconosce e analizza i movimenti degli atleti venticinque volte al secondo (Fig. 5). I dati ottenuti forniscono informazioni utili in merito alla velocità, alla distanza percorsa, al possesso di palla, etc. Ma la tecnologia non si limita semplicemente a registrare la realtà, ma la modifica: i suggerimenti formulati dal computer sulla base dei dati analizzati sono infatti usati dagli allenatori per modificare le tattiche della loro squadra. Per esempio, i Warriors hanno cambiato strategia quando SportVU ha rilevato la correlazione tra il numero di passaggi e le vittorie (Schuhmann, 2014). Il sito della NBA presenta molti altri esempi che attestano la forza prescrittiva dell'algoritmo.
Fig. 5 Il sistema di tracking in tempo reale di SportVU
Quello che tuttavia mi preme sottolineare è che l’influenza del virtuale sul reale è tutt’altro che nuova. (12)
Il fenomeno, infatti, precede l’avvento del digitale. Si consideri, per esempio, l’ossessione tipicamente statunitense per il prato verde che circonda le villette a schiera nelle zone suburbane, un’immagine che fa parte del Sogno Americano, per lo meno così come si è venuto a configurare dal dopoguerra a oggi. (13) Gli abitanti sono de facto obbligati a mantenere il proprio giardino “in ordine”, sempre-verde, e a tosare regolarmente l’erba, pena il pagamento di sanzioni economiche e, in molti casi, l'arresto. Associazioni di quartiere pattugliano regolarmente i quartieri per assicurarsi il pieno rispetto delle norme condivise. Ora, non tutti sanno che il prato erboso “all’americana” è un’invenzione relativamente recente, un oggetto di design le cui radici affondano nell’arte (ossia nella cultura) anziché nella natura, e precisamente nella pittura paesaggistica pastorale. Questo genere artistico, particolarmente diffuso nel Diciannovesimo secolo, prediligeva scenari bucolici che celebrano il perfetto equilibrio tra l'uomo e la natura: scene tranquille, spesso raffiguranti raccolti maturi, giardini, prati curati, rigogliosi e pascoli ritratti in ampi panorami. Come spiega Virginia Jenkins (2004) in The Lawn: A History of an American Obsession,
L’idea di aggiungere un prato di fronte alla propria abitazione cominciò a prendere forma alla fine del XVIII secolo, quando alcuni aristocratici americani presero a prestito un elemento dell’architettura paesaggistica francese e inglese. Attorno alla metà del XIX secolo, i proprietari di abitazione erano stati incoraggiati ad abbellire le proprie ville con prati e giardini per fornire il buon esempio ai vicini di casa e ai passanti. I leader delle comunità davano infatti scontato che le persone facoltose e di buon gusto potessero influenzare gli altri e che le classi inferiori e i meno istruiti avrebbero seguito l'esempio. Il prato erboso nasce dunque come un lusso per la classe abbiente, ma in seguito diventa uno status symbol della classe media [...] I primi tentativi di creare dei prati verdi sono attribuibili a ricchi proprietari terrieri che, sul finire del XVIII secolo, avevano appreso l’arte del paesaggio inglese attraverso libri, giardinieri britannici e viaggi [...] Nel periodo compreso tra Rivoluzione (1776, ndt) e gli anni venti del Diciannovesimo secolo, lo stile, il buon gusto e l’etichetta britannica continuano a dettare legge negli Stati Uniti. La familiarità americana per le tecniche paesaggistiche inglese aveva origini letterarie e artistiche, ossia i quadri paesaggistici provenienti dall’Inghilterra. (pp. 19, 73, 112).
L’ossessione per il prato all’americana è direttamente riconducibile all’arte paesaggistica pastorale: le classi abbienti, infatti, idealizzavano i quadri di George Inness (1825 - 1894, Fig. 6) e John Constable (1776 - 1837, Fig. 7) al punto da usarli come modelli e fonte di ispirazione.
Fig. 6 George Inness (1825 – 1894), The Lackawanna Valley, 1855, olio su tela.
Fig. 7 John Constable, Wivenhoe Park, Essex, 1816, olio su tela.
Nel diciannovesimo secolo, lo stile del giardino inglese - che prevede l’accostamento e la giustapposizione di elementi naturali e artificiali, nonché l’addomesticazione della natura secondo un’estetica romantica anziché geometrica come in quelli italiani e francesi - s’impone in Inghilterra e, successivamente, negli Stati Uniti. Scrive Jenkins:
Gli americani hanno gradualmente adottato le convenzioni definite dall’élite britannica in merito alla creazione di giardini e prati perché era compatibile con la nozione dell’America come nuovo Giardino dell’Eden. (p. 131)
Nel suo celebre studio La macchina nel giardino. Tecnologia e ideale pastorale (1964), lo storico Leo Marx spiega che l’invenzione del paesaggio industriale nord americano ha richiesto la mediazione del paesaggio naturale. In particolare, il mito del progresso tecnologico americano si fonda sull’immagine del paradiso terrestre, del giardino incontaminato. L’ideologia sottesa è che la sfera tecnica e naturale non sono solo compatibili, bensì congruenti. L’industrializzazione e la suburbanizzazione del territorio americano si accompagnano, paradossalmente, all’idealizzazione dello spazio naturale - uno spazio fortemente addomesticato, di cui il prato verde rappresenta una delle più note manifestazioni. Come conferma il sociologo Paul Robbins in Lawn People (2007), il prato all’inglese si afferma inizialmente come status symbol dell’aristocrazia americana perché comunica uno spreco: le élite potevano infatti permettersi di sfruttare i propri terreni per scopi puramente decorativi anziché produttivi (leggi: agricoltura). Nelle ville di campagna degli aristocratici, il campo viene riconfigurato come spazio verde, curato dalla manodopera servile. Questa logica si estende successivamente ai parchi pubblici e alle abitazioni private, a partire dalla seconda metà del Ventesimo secolo, con l’avvento dell’architettura suburbana.
Parallelamente, assistiamo a una ridefinizione stessa del prato, che da marca di riconoscimento dell’ aristocrazia diventa un indicatore del senso civico e del buon gusto della singola famiglia. Andrew Jackson Downing, il padre fondatore dell’architettura paesaggistica americana - insieme al suo successore, Frederick Law Olmsted - indica nel giardino lo strumento chiave per difendersi dalla città moderna, descritta come uno spazio caotico, sporco e moralmente corrotto. Nel suo celebre trattato The Architecture of Country Houses (L’architettura delle case di campagna, 1850), Downing scrive che un giardino curato comunica la cultura, l’educazione, l’ordine di un popolo. Un secolo dopo, in seguito all’invenzione della suburbia, la classe media si appropria del prato verde e della sua sottesa ideologia (Virginia Scott Jenkins, 1994, pp. 22-33). L’ironia è che c’è poco di naturale nel prato erboso americano: si tratta, infatti, di un oggetto di design ottenuto attraverso l’uso intensivo di soluzioni chimiche come fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, diserbanti, senza dimenticare il gasolio e l'elettricità necessari per alimentare i tagliaerbe, inventati non a caso negli Stati Uniti attorno al 1860. In breve, il presunto paesaggio "naturale" è completamente artificiale. Non deve sorprendere che i costi sociali ed economici legati alla manutenzione dei prati all'americana sono enormi. Questo fenomeno conferma l’influenza del virtuale - in questo caso, della pittura paesaggistica pastorale - sul sociale. I quadri di Innes hanno condizionato, e, in alcuni casi plasmato la realtà tout court. L’arte non descrive, ma prescrive. Come ha scritto Roman Mars (2015),
Anche in principio, i prati rappresentavano qualcos’altro. Il prato - o meglio, l’idea del prato - affonda le sue radici nell’arte. Scene bibliche, pastorali di campi e praterie avevano catturato l’immaginazione delle élite inglesi. Si potrebbe affermare che adoravano quei quadri al punto tale da volerci vivere dentro…
Non deve dunque sorprendere che la guida virtuale del racing game sia assurta a modello, paradigma e referente di quella “reale”: al medium della pittura si è sostituito quello del videogame, al quadro la schermata, al pennello il joypad.
Il racing game - come il prato idealizzato da Innes e Constable - è uscito dallo schermo e non ha la minima intenzione di ritornarci.
Allo stesso tempo, molti giocatori adorano i giochi di corsa al punto che vorrebbero viverci dentro.
Quello che dobbiamo chiederci: Cosa succede quando la simulazione rimpiazza il reale?
Note
1. Su Repubblica si legge che “L’ultima certificazione arriva dai dati annuali dell’Automobile Club Italiano che fotografano – al 31 dicembre 2014 – una presenza di 686mila vetture in città, circa 15mila in meno rispetto all’anno precedente e soprattutto centomila in meno rispetto a 14 anni fa. Non molto diversa la situazione nell’intero territorio dell’area metropolitana di Milano, dove le auto circolanti sono 1,75 milioni, vale a dire 200mila in meno rispetto all’anno 2000.” (De Vito, 2015)
2. Sul rapporto tra videogiochi e realismo, cfr. Matteo Bittanti, “Il realismo asociale di Forza Horizon”, Ludologica, 20 ottobre 2015. URL: http://www.ludologica.com/2015/10/saggio-il-realismo-asociale-di-forza-horizon.html
3. L’analogia tra le copertine dei racing game più popolari e le pubblicità delle autovetture attesta che esiste una convergenza estetica oltre che ideologica tra l’immaginario pubblicitario e quello ludico.
4. Il corollario è che per capire gli sviluppi futuri, occorre studiare la simulazione.
5. E, presto, Apple.
6. La modalità stessa di distribuzione di Autopilot presenta analogie videoludiche: i clienti Tesla hanno infatti scaricato dal sito dell'azienda attraverso un collegamento wifi la “patch” del sistema operativo 7.0 che introduce la guida semi-automatica esattamente come gli utenti scaricano i DLC (acronimo di DownLoadable Content), per espandere i loro videogame. L'aggiornamento è a pagamento: $2500 e Tesla ha declinato ogni responsabilità in caso di incidente.
7. In originale: “Essentially it’s like a person - how well can a person figure out what route they should take. Over time it will be better than a person. "Long term it will be way better than a person. It never gets tired, it’s never had anything to drink, it’s never arguing with someone in the car. It’s not distracted.” (Elon Musk)
8. Per ulteriori informazioni, cfr. Matteo Bittanti, “Benvenuti nell’era della disoccupazione tecnologica”, Saturno, 25 novembre 2011. URL: http://www.mattscape.com/2011/11/printed-matter-la-disoccupazione-tecnologica-perch%C3%A9-gli-esseri-umani-sono-obsoleti-saturno.html
9. Secondo le statistiche più aggiornate, circa 1.2 milioni di persone muoiono ogni anno sulle strade a causa di incidenti automobilistici, senza contare i danni psicologici e fisici che affliggono i superstiti.
10. Per ulteriori informazioni, cfr. http://newsroom.jaguarlandrover.com/en-in/jlr-corp/news/2014/12/jlr_virtual_urban_windscreen_151212/
11. Per ulteriori informazioni, cfr. http://stats.nba.com/tracking/#!/player/
12. Questa precisazione è indispensabile per evitare di cadere nella trappola del determinismo tecnologico.
13. Per ulteriori informazioni, cfr. Lawrence Samuel, The American Dream: A Cultural History, Syracuse, Syracuse University Press, 2012 e Jim Cullen, The American Dream: A Short History of an Idea that Shaped a Nation, Oxford, Oxford University Press, 2004.
Riferimenti bibliografici
Bittanti, Matteo. Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica. Milano, Edizioni Unicopli, 2015.
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Bittanti, Matteo. (2012) "La ludicizzazione del calcio", Ludologica, 20 luglio. URL: http://www.ludologica.com/2012/07/saggio-la-ludicizzazione-del-calcio.html
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Charlton, Alistar. “Tesla Autopilot is out now and will learn to drive 'better than a person'. International Business Times, 15 ottobre 2015. URL: http://www.ibtimes.co.uk/tesla-autopilot-out-now-will-learn-drive-better-person-1524092
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De Vito, Luca. “Milano, auto addio: in città ne circolano 15mila rispetto a un anno fa. ‘Area C resterà com’è’", La Repubblica, 22 luglio 2015. URL: http://milano.repubblica.it/cronaca/2015/07/22/news/milano_auto_addio_in_citta_ne_circolano_15mila_rispetto_a_un_anno_area_c_restera_com_e_-119555860/
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Collegamenti
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica: Racing Game vs. Road Movie (PARTE PRIMA, Roma, 28 maggio 2015)
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica: Questioni di realismo (PARTE SECONDA, Milano, 20 ottobre, 2015)
Orizzonti di Forza. Fenomenologia della guida videoludica: Cenni di Fotoludica (PARTE TERZA, 26 ottobre, 2015)