Pubblichiamo di seguito un breve saggio Alessandro Cutrona su Tomb Raider. LUDOLOGICA ha ospitato un precedente intervento di Cutrona dedicato a The Sims.
Alessandro Cutrona
La polifonia delle immagini in Tomb Raider
“Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città”.
Italo Calvino,1972.
Nel progresso di una società dedita al capitalismo come deus ex machina si corrono enormi rischi: i modelli teorici e analitici, infatti, hanno reso possibile decifrare il videogioco, come testo intermediale o più precisamente, aggregato mediale. Le sovrastrutture economiche, al centro dei più roventi dibattiti, tengono inevitabilmente conto delle possibilità tra reale e virtuale; lo sapeva bene Satoshi Nakamoto quando ha instillato l’idea della moneta digitale Bitcoin, successivamente sviluppata e implementata globalmente. Il rischio, sarebbe quello di classificare il videogioco come mera “cultura in scatola” (Edgar Morin, 2005). Il timore che assale la ratio di ogni studioso, è quello di poter osservare che il videogioco venga considerato come tale, e nient’altro. La Mediopolis di cui parla Michele Rak (2010) verrebbe popolata in questo modo da asettici consumatori e non da potenziali individui interconnessi. “Si producono consumatori di beni e non cittadini di corpi sociali coerenti e interattivi” (Accordi Rickards, Vannucchi, 2013). Tale aspetto, è rintracciabile nell’icona pop del genere action-adventure Lara Croft con il mastodontico Tomb Raider, che ha immediatamente acquisito lo statuto di cult game. Concepito da Toby Gard e sviluppato inizialmente dall’azienda britannica Core Design (1996) fino al terzo episodio (2003), quando il testimone per le successive produzioni è passato all’azienda statunitense Crystal Dynamics, Tomb Raider rappresenta una caso di studio affascinante.
Prodotto per tutte le piattaforme esistenti (Nintendo 64, PlayStation, Sega Saturn e personal computer), e ancora oggi in fase di sviluppo - il sequel del recente Rise of Tomb Raider, 2015 è già in fase di esecuzione - Tomb Raider propone una trama tanto semplice quanto intrigante: un’archeologa inglese alla ricerca di tesori dislocati in tutto il mondo. Questa premessa narrativa non poteva non appassionare l’interesse dei gamers; un videogame sudddiviso per quadri/livelli con séguiti ambientati in location differenti: dal Perù sino in Grecia, Egitto, Inghilterra, Cina, Italia (Venezia, Roma), Canale di Suez, Tibet, India, Antartide, Cambogia, Russia, Irlanda, New York e molte altre ancora. Immerso in un ambiente tridimensionale, il gamer è al contempo utente e cameraman della stessa eroina: la percezione visiva e motoria dipende esclusivamente dalla propria volontà, dalle proprie intuizioni e dai relativi comandi, ora impulsi ora ordini, digitati sul joystick, medium come estensione del pensiero in fieri. È possibile, infatti, effettuare ampie panoramiche a trecentosessanta gradi, roteando la camera intorno a Lara, è solo in questo preciso momento e in pochi altri (a seconda dei livelli giocati), il gamer si sdoppia o meglio ancora, acquisisce una maggiore percezione del proprio sé - utente/gamer/Lara - vestendo i panni del cameraman, per la maggior parte del tempo infatti, il giocatore e il cameraman sono la stessa entità: l’utente collocato davanti al proprio schermo da qualunque parte del mondo, non vede se stesso collocato davanti ad uno schermo ma esplora il proprio campo visivo, non più per se stesso, ma per permettere a Lara di muoversi e “recitare” correttamente . Lara è dunque l’alterego del gamer che mobilita l’immobilità dell’utente.
L’inquadratura principale è dinamica ma rigorosamente collocata alle spalle di Lara. Sono ammessi i campi e controcampi, ma di default è necessario per un corretto sviluppo narrativo del livello inquadrare la protagonista da dietro. I movimenti direzionali coordinati, razionali e funzionali sono decisivi per superare ostacoli, saltare, o aggrapparsi ad una roccia. Gli oggetti presentano una rigida forma cubica ad attestare la rudimentale concezione spaziale dei primi videogame in tre dimensioni.
Se l’impatto emotivo-cognitivo cresce in modo esponenziale durante il corso di una partita, lo si deve tanto alla monumentalità del design scenografico (tenebrose caverne, impressionanti foreste, impenetrabili muraglie, suntuosi appartamenti) ora più che mai evoluto, come nel penultimo capitolo della saga, quanto nella trama e nel suo relativo svolgimento (la meticolosa ricerca di chiavi, talismani, entità segrete essenziali allo svolgimento del quadro), si aggiungono i trofei e la possibilità di saccheggiare tombe segrete. Dunque, acquistando movimento, la realtà fotografata diventa cinematografica e così, con maggiore forza, ogni soggetto presente nel film avanza nella pretesa di esistenza agli occhi dello spettatore. Come scrive Andrea Rabbito (2015):
Le forme conferiscono la propria struttura oggettiva al movimento e il movimento dà corpo alle forme”; tutto ciò che appare sullo schermo, dà la sensazione di esserci fisicamente, e per tale motivo, come osserva Morin, dimostra realmente di esistere, di avere “veramente corpo”. (p. 58)
Questo passaggio ci permette di portare in primo piano analogie e differenze tra cinema e videogioco. Lara, esiste, è lì dinanzi a noi (gamers), la sua “vita” è nelle nostre mani, il suo destino dipende dalle nostre volontà, dagli input che le inviamo attraverso il joystick. Lara, ha a propria disposizione degli oggetti e strumenti in quantità limitata, sempre disponibili al gamer. Una carta d’identità, una mappa, un medi-pack, un paio o d’occhiali da sole e due pistole, questi almeno, sono gli oggetti che Lara porta con sé nei primi due capitoli della saga. E’ chiaro che il numero di gadget a disposizione dell’eroina aumentano negli episodi successivi. “Quanto più un oggetto artificiale appare simile a un oggetto naturale tanto più è fonte di forme inquietanti di conoscenza. Giocare con il vg vanta un’esperienza con crescente impatto emotivo/cognitivo” (Accordi Rickards, Vannucchi, 2013: pp. XXIII-XXIV).
Tomb Raider è non un videogame bensì, un art-game – videogame con contenuti emotivi, storie e scenografie – la somma dei capitoli della saga, ad oggi dieci tra remake e reboot ed espansioni, evidenzia una certa longevità della trama ma soprattutto, un’evidente stabilità grafica e uno sviluppo per l’azione e l’avventura, implementando ulteriori possibilità che si avvicinano sempre più ad un soggetto cinematografico. Tomb Raider è definibile come un vero e proprio pastiche di trame che fonda le proprie radici in una finzione non troppo lontano dal vero (si pensi ai contesti storico geografici), facendo dell’iperrealismo il proprio canone estetico. In questo specifico caso, il videogioco prende le distanze dal videogame per definizione (sparatutto, lotta tra bene/male), rimedia miti e leggende, facendo di un livello una guida pratica ai processi esplorativi di luoghi e contesti. “Finzione, proiezione, simulazione, mimesi sono termini da ridiscutere con una teoria del flusso testuale adatta a decifrare le tassonomie e le tendenze della cultura mediale” (ibidem, XXV)
Se da un lato, l’evoluzione grafica non ha conosciuto limiti, per molti, la crescita esponenziale ottenuta da Tomb Raider ha portato ad una snaturalizzazione del videogame stesso, nonostante la stabilità dell’icona dell’action-adventure non sia stata scalfita dallo scorrere del tempo, giocare ad un capitolo della saga precedenti (si pensi al primo episodio, che risale al 1996), ha un quid videoludico, sociologico ed infine, non perché meno importante, estetico (ulteriore aspetto socio-ludico piuttosto elitario tra le comunità di retrogamer).
Nelle tradizioni delle arti i testi di qualsiasi epoca conservano in parte i loro significati e valori nonostante il dissolvimento delle culture storiche che li hanno allestiti e usati e possono anche essere riutilizzati da altre culture. Le opere d’arte non decadono e, in certa variabile misura, ri-articolano il loro senso quando vengano utilizzate da altre culture perché legate a identità e territori. Omero può essere letto e le statue di Buddha venerate daccapo in altre epoche e culture rispetto a quella in cui sono state ideate, recitate, scritte o scolpite. Tuttavia nessuno usa ancora una Ford T per una gita sull’autostrada o per una corsa su un circuito. Le nuove macchine (elettroniche) hanno usi e valori sempre più temporanei. Pac-Man esce dall’uso quando arriva Tomb Raider Le nuove opere in forma di videogioco tendono a cancellare la propria tradizione” (Ibidem, XXVIII-XXIX).
Tomb Raider amplifica e sintetizza al contempo, l’equilibrio che sussiste tra eikôn e eidôlon - cioè “copia” del reale dal quale ri-crea il mondo (città e monumenti), dimostrando una vera e propria ispirazione che a sua volta deriva dal simulacro di una propria realtà (quella dei videogame), che esiste ma non esiste, un universo proprio a immagine e somiglianza del reale, ma pur sempre nuovo, poiché disegnato ex-novo dai designer. La forza di Tomb Raider sta nel fatto che ad esso non soggiace alcuna realtà sottostante, ma solo un’eco vicina/lontana del reale. “Verità che nasconde il fatto che non ne ha alcuna”, come sostiene il Baudrillard di Simulacri e Simulazione (1985). L’intuizione è quella che precede l’idea di una realtà che esiste sotto forma di pixel e che quasi sempre, risponde appieno all’idea che si dipana nella mente del gamer, per tale motivo, come sostiene il filosofo francese, i simulacri precedono la realtà che sia essa reale o virtuale, le immagini che si depositano nei nostri “canali” mentali hanno una diretta corrispondenza con l’idea di realtà per definizione.
Come ogni altro medium, anche il videogame possiede un tasto cognitivo mediante il quale è possibile ricominciare dal principio, ripercorre i quadri/livelli non ripetendo mai la stessa partita nonostante il fine del gioco resti immutato. Come aggiunge Rabbito (2015):
E così, se l’immagine ha una notevole incidenza su di noi e sul modo di intendere la realtà, l’influenza della nuova immagine, grazie alle sue specifiche caratteristiche, che danno la sensazione che offra il perfetto doppio del reale, se non addirittura la presenza stesso del soggetto rappresentato, non potrà che risultare ancora più penetrante. (p. 35)
Col passare del tempo, cresce la consapevolezza di una certa aura che stimola nuovi livelli di percezioni, elevando ad icona un videogame, diventandone poi, una pietra miliare per la storia del videogame. Nel micromondo di Tomb Raider e nel microcosmo del videogame, ogni partita non è mai la stessa partita, il punto di inizio è sottoposto a continui cambi di rotta, logici o meno, possibili o impossibili; è in questi casi, che si visualizzano i bug in un videogame. Proseguono Accordi e Vannucchi: “Il soggetto/individuo (se è ancora utile parlarne in questi termini) si muove in scenografie cangianti, mobili, instabili, disarticolate” (XII).
La natura intertestuale è il punto di partenza, per un’evidente spinta che il suddetto videogioco esercita e riceve, nei confronti dell’industria dello spettacolo e dei media (storia, geografia, letteratura, archeologia, logica sono tra le principali fonti di riferimento per lo sviluppo del videogame. Nel suo Éloge de la simulation, Philippe Queau (1986) afferma che il progresso della tecnica passa attraverso la progressiva “derealizzazione” dell’uomo e l’incessante simulazione del reale. La simulazione, non è affatto il simulacro della realtà, poiché è essa stessa a crearla, Tomb Raider infatti, solo in parte “crea” una realtà, in quanto il suo essere videogame gli conferisce lo status di doppio del reale ma che di fatto non simula, crea. Per tanto,
Tale caratteristica verrà assorbita e riproposta dalle due nuove immagini successive al cinema, da quella televisiva e quella video, le quali coniugheranno la magia di secondo in grado con le specificità del loro linguaggio. (Rabbito, pp. 61-62)
Ed è proprio così, in quel miscuglio di linguaggi il gamer “gode” e “usufruisce” non sempre in modo consapevole, di un crescente stato di sensibilità e impressione visiva, uditiva e motoria, facendo esperienza di una sorta di intelligenza corporeo-cinestetica.
Il giocatore è un viaggiatore che percorre strade ramificate in mondi popolati da storie e immagini, che quasi sempre, gli sembrerà di conoscere.
Riferimenti Bibliografici
Accordi Rickards, M. Vannucchi, F. Il videogioco. Mercato, giochi e giocatori. Milano: Mondadori, 2015.
Baudrillard, Jean. Simulacri e Simulazione, Bologna: Il Mulino, 1985.
Calvino Italo. Le città invisibili, Milano: Mondadori, 1972.
Morin, Edgar. Lo spirito del tempo. Milano: Booklet, 2005.
Rabbito, Andrea. L’onda mediale. Le nuove immagini nell’epoca della società visuale. Udine: Mimesis, 2015.
Rak, Michele. La letteratura di Mediopolis. Divertimento, devianza, simulazione, gioco, fuga, evasione, divieti, conflitto, impulso, piacere, Milano: Fausto Lupetti Editore, 2010.
Queau, Philip. Éloge de la simulation. Paris: Diffusion, Presses universitaires de France, 1986.
L'Autore
Alessandro Cutrona (1992, Agrigento). Dopo la maturità classica, Cutrona si laurea con lode in Multimedialità per le Arti e la Comunicazione presso l’Università degli studi di Enna “Kore” e successivamente consegue la laurea magistrale in Tv, Cinema e New Media presso l’Università IULM di Milano. Dal 2014 è esperto valutatore presso l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR). In occasione dell’Esposizione Universale EXPO Milano 2015 ha collaborato alla mostra Arts&Foods rituali dal 1851 a cura di Germano Celant per la Triennale di Milano. Nel 2015 ha pubblicato un racconto per l’Antologia letteraria Giovani Scrittori IULM dal titolo Memorie di una temporanea sessione, Arcipelago Edizioni. Sempre nel 2015 è stato candidato al concorso “Scrivere di cinema - Premio Alberto Farassino 13° edizione” sezione under 25 per la recensione sul film “Si alza il vento” del regista d’animazione giapponese Hayao Miyazaki pubblicata sul portale MYMOVIES.IT.