Non sempre capita di trovarsi all’epilogo di un videogame e rimanere talmente colpiti da cercare disperatamente fonti su prossime pubblicazioni dello stesso titolo. È questo il caso, The Order 1886 è ad un passo dal capolavoro per l’intento videoludico di carattere storico e permeato dalla giusta riflessione etica-politica sino ad rigore estetico da capogiro; non si tratta di eufemismi, bensì, di deduzioni che giungono alla ratio di un gamers con un minimo di esperienza. Sviluppato da Ready at Dawn e pubblicato da Sony Computer Entertainment in esclusiva per la console PlayStation 4 divenendo il titolo di punta per tutto il 2015.
Nella Londra del 1886 i Cavalieri dell’Ordine Reale fronteggeranno una ribellione antigovernativa e creature mezzosangue, per metà umane per metà animali, i protagonisti: Sir Galahad, Sir Percival, Nikola Tesla e la leader dei ribelli Lakshmi condurranno l’avventura in scenari regali, oscuri ma realistici fino all’inverosimile le location infatti sono: Hyde Park, Whitechapel, Il Tamigi. Un videogame che la critica ha particolarmente apprezzato per l’assenza di bug (aspetto che salta subito all’occhio), l’originalità di alcune armi (da fare invidia a titoli come Doom o Call of Duty), e criticato l’eccesso di Quick time event – aspetto che trova conferma fin dai primi capitoli e persino durante lo svolgimento della trama ovvero, quando il gamers dovrebbe limitarsi esclusivamente al ruolo di spettatore.
Il punto di forza di The Order 1886 è nel suo genere: sparatutto in terza persona, elemento che non può passare inosservato poiché costituisce quell’ingresso-soglia di gioco nella dimensione videoludica dalla quale si può trarre una maggiore godibilità senso-motorio oltre che logico-razionale proprio perché il punto di vista appare quasi del tutto innovativo (la camera si posiziona quasi a fianco del protagonista e quindi, a destra o a sinistra dell’azione ma sempre un passo indietro), aspetto che apporta punti di prestigio in un gioco che già di per sé ridefinisce e eredita al contempo, avventura, azione, storia, ed etica nella lotta bene/male e fa della posizione di “copertura” (sviluppata nel 2000) un’importante meccanica di gioco. La giocabilità in terza persona non smette di interrogare l’utente, da un lato, consente una maggiore interazione con il mondo circostante, con gli oggetti e con il mettersi al riparo dai nemici ma inevitabilmente dall’altro, limita la visibilità con la presenza dell’avatar al centro dello schermo, tale elemento corrobora e aumenta l’immersività finzionale ma ancora di più caratterizza fortemente il personaggio “umanizzandolo” o almeno ci prova, elemento che aprirebbe consistenti interpretazioni prendendo in esame gli studi di Seymour Chatman.
La narrazione procede per capitoli e solo quando l’intero racconto è stato svolto-giocato i tasselli del mosaico combaceranno con un finale che mai come in questo momento richiede l’approccio e l’intento ipertestuale da parte del gamers che lo interroga su una scelta decisiva rendendolo protagonista nonché avatar del proprio avatar, un finale indubbiamente cinematografico e affascinante come pochi altri titoli. Le ampie discussioni tenutesi nella sala del consiglio (piuttosto frequenti) fra i membri dell’Ordine lasciano presagire una trama che non può esaurirsi in un solo numero, questa componente assieme ai combattimenti e al quick time event esclude in buona parte il giocatore a tal punto che il gameplay risulta a tratti abbastanza piatto ma il contrappunto risiede in un manierismo esaltato per la tecnologica e la ricerca che soggiace alla creazione del titolo ma citiamo le seguenti parole per essere più precisi:
«In sintesi Esposito, nel passaggio a un fronte categoriale nuovo che metta al centro l’idea di impersonalità, arriva ad affermare, iscrivendosi pienamente nella linea di pensiero deleuziana, che la terza persona non è tanto un’altra persona quanto un altro regime di senso, e che l’impersonale non è solo una forza in grado di decostruire la personale, ma una pratica che modifica la stessa esistenza».
La suddetta citazione conferisce maggiore senso alle precedenti osservazioni; se da un lato la giocabilità in terza dimensione risulta estremamente narrativa, dall’altro fa sorgere dei punti di domanda sul ruolo stesso del gamers e quindi, il senso del gameplay di default, ne consegue quindi che, il trovarsi ad un passo dalla spalla del nostro avatar Sir Galahad fa scaturire un cortocircuito narrativo-ludico-sensiorale riconfigurando l’Io (gamers) e l’Altro (avatar). I new media hanno aumentato la percezione e l’ascolto del sé ma ciò che può sembrare a tratti impersonale in realtà custodisce nel proprio statuto un immagine-riflesso della nostra personalità o del nostro ruolo che in contesti transmediali simili appare iper-personalizzato e non spersonalizzato in quanto segue un discorso contemporaneo in linea con una certa tendenza di narratività al centro del dibattito accademico di questo periodo.
In conclusione, The Order 1886 costituisce un viaggio visionario che va oltre la definizione di videogame e accosta una sceneggiatura degna di nota ad un paesaggio musicale centellinato e mobilitante per le proprie riflessioni.
Alessandro Cutrona
Testo di riferimento
Vite Impersonali. Autoritrattistica e medialità, a cura di Federica Villa, Luigi Pellegrini Editore, Cosenza, 2012.
Biografia
Alessandro Cutrona (1992, Agrigento) si laurea con lode in Multimedialità per le Arti e la Comunicazione presso l’Università degli studi di Enna “Kore” (2013) e successivamente consegue la laurea magistrale in Tv, Cinema e New Media presso l’Università IULM di Milano (2015). Studioso delle culture mediali è particolarmente interessato alla narratologia.
Dello stesso autore
Cutrona, Alessandro. (2016) "La polifonia delle immagini in Tomb Raider", Ludologica, 29 gennaio 2016.
Cutrona, Alessandro. (2015) "The Sims e l'immagine del reale", Ludologica, 5 dicembre 2015.