Pubblichiamo di seguito un estratto della tesi di laurea di Gemma Fantacci, studentessa della IULM di Milano che ha recentemente ricevuto una Laurea Magistrale in Arti, Patrimoni e Mercati con un lavoro di ricerca sui videogiochi. Questo articolo discute sinteticamente il potenziale empatico di This War of Mine, lo strategy game prodotto dal team di sviluppo polacco 11 bit studios nel 2014.
This War of Mine. Le metafore valoriali della guerra simulata
Gemma Fantacci
La tesi che ho sviluppato nel mio progetto di ricerca è che il videogioco non possiede una funzione esclusivamente ricreativa e disimpegnata. Al contrario, è un medium dal grande potenziale didattico e formativo, in grado di sollecitare l’utente a riflettere sull’esperienza interattiva, sulle scelte effettuate a livello di gameplay e sulle conseguenze a livello intra ed extra-ludico. In questo modo, il videogioco può diventare uno strumento pedagogico che produce significati ed esperienze valoriali. Un recente indie game che sviluppa questo potenziale in forma originale è This War of Mine, sviluppato dallo studio polacco 11 bit Studios e pubblicato nel 2014. Si tratta di una simulazione bellica sui generis caratterizzata da un’estetica bidimensionale a scorrimento laterale. Lo stile grafico evoca a più livelli quelli delle graphic novel. Il giocatore controlla un gruppo di civili che tentano di sopravvivere il più a lungo possibile nel corso di un assedio della fittizia città di Pogoren, in Graznavia, che presenta le sembianze della Sarajevo devastata dalla guerra civile tra il 1992 e il 1996.
11 bit Studios, This War of Mine, 2014
Il giocatore di This War of Mine cerca di sopravvivere alla meschinità e alle atrocità del conflitto gestendo un numero limitato di personaggi (Bruno, Pavle, Marko o Katia) ed un esiguo numero di provviste ed utensili. La temporalità ludica è scandita dall’alternanza di due fasi: il “Giorno”, in cui il giocatore si trova a guidare i personaggi all’interno della casa/rifugio affinché possano riposare, cibarsi o costruire il necessario per la sopravvivenza (armi, strumenti e artefatti di vario tipo); e la “Notte”, durante la quale è possibile scegliere un personaggio dal gruppo dei sopravvissuti e mandarlo in esplorazione di alcuni edifici della città per individuare e raccogliere ulteriori provviste e materiali, permettendo agli altri di riposarsi o di fare la guardia. Questo frangente rappresenta anche il momento più drammatico del gameplay perché durante le perlustrazioni può capitare di finire vittima di un'imboscata dall'esito binario: o si sopravvive o si perisce. Nel caso in cui una perlustrazione fallisca, il giocatore torna al rifugio a mani vuote, aggravando, se non compromettendo, le condizioni di salute dell’intera compagine.
11 bit Studios, This War of Mine, 2014
Ciò che colpisce del videogioco diretto da Michal Drozdowski e progettato da Rafał Włosek e Grzegorz Mazur è la prospettiva scelta dagli sviluppatori. Tradizionalmente, i videogiochi attribuiscono all’utente un ruolo primario, conferendogli grande potenza, se non addirittura onnipotenza Questo empowerment consiste, per esempio, nel fornire al giocatore un arsenale stratosferico, la capacità di resistere ai colpi dell’avversario o di ripristinare il proprio livello di salute con espedienti quali power up e bonus. Inoltre, il protagonista dei giochi di guerra è, nella stragrande maggioranza dei casi, un soldato. I civili o non sono simulati oppure svolgono una funzione del tutto marginale, come se si trattasse di un mero sfondo. In questo caso, tuttavia il giocatore indossa i panni di un comune cittadino, o meglio, di un gruppo di civili. In altre parole, This War of Mine permette al giocatore di esperire le condizioni della guerra da un punto di vista alternativo: non dal campo di battaglia, bensì attraverso gli occhi di coloro che scontano le conseguenze più atroci del conflitto. Il gioco sconfessa dunque la logica dell’empowering (potenziamento) tipica del videogame commerciale: nei panni di un civile, il giocatore deve tentare di sopravvivere in un ambiente ostile, con risorse limitate e senza grandi prospettive di successo. Questa peculiare scelta di design spinge il giocatore a riflettere sulla condizione di sopravvissuto e stabilisce sin dalle prime battute un rapporto di empatia con il proprio gruppo. Si intuisce, dunque, come questa identificazione suggerita a monte non sia altro che una metafora della condizione in cui versano milioni di individui che (soprav)vivono in paesi dilaniati dai conflitti, molti dei quali scatenati dai paesi occidentali. Si tratta dei medesimi individui che talvolta intraprendono viaggi pericolosi per cercare una vita migliore nei paesi del primo mondo, paesi che spesso non vogliono saperne di accoglierli. L’esperienza ludica in This War of Mine si fa ancora più empatica quando il giocatore comprende che di fatto non esiste uno stato di vittoria definitiva e nemmeno un tempo massimo entro cui portare a termine una sessione. All’interno della realtà simulata, i giorni si susseguono finché l’ultimo dei personaggi del proprio gruppo perisce. Il giocatore vive metaforicamente lo scorrere del tempo che altro non è che lo scorrere dei giorni di una vita segnata dalla tragedia, dall’instabilità, dal terrore e dalla violenza, un sorta di conto alla rovescia crudele che culmina con la morte dei personaggi. L’andamento della sessione ludica dipende dalle scelte del giocatore e dalle reazione dei personaggi che gestisce. Una delle peculiarità più interessanti di This War of Mine riguarda la l’unicità e irripetibilità di ogni sessione. In primo luogo, i personaggi sono assegnati in modo casuale dal sistema, il che riduce ulteriormente l’autonomia decisionale del giocatore. In secondo luogo, ogni utente può agire come ritiene più opportuno. Ciò permette lo svilupparsi di due diverse narrazioni: quella generale (la macro Storia), fornita inizialmente dal gioco stesso; e la storia personale del giocatore (la micro storia), un racconto più soggettivo prodotto dall’insieme delle decisioni ed azioni intraprese dall’utente. In This War of Mine non esiste un codice di regole comportamentale predefinite e per tanto il giocatore è obbligato a decidere autonomamente come agire e pensare. Soprattutto, il gioco costringe il giocatore a fare i conti con la propria razionalità e l’etica. La bellezza di This War of Mine, infatti, consiste nella notevole libertà nell’esercitare il libero arbitrio. In altre parole, l’utente è libero di comportarsi come uno sciacallo, derubando altri civili, uccidendoli, depredando ospedali o abitazioni, interpretando le missioni previste come una gara per sopravvivere più a lungo senza scendere ad alcun compromesso e sopprimendo ogni tendenza empatica. Se tuttavia l’esperienza ludica viene affrontata come uno specchio riflettente dei conflitti in corso, la visione del gioco cambia profondamente. De facto, il gioco sollecita questa domanda: “Come mi comporterei se mi trovassi nella medesima situazione?” In questo modo, il gioco trascende la dimensione puramente disimpegnata, violando il cosiddetto “cerchio magico” teorizzato da Huizinga, per sollecitare una riflessione extra-ludica.
11 bit Studios, This War of Mine, 2014
Giocare a This War of Mine rispettando il codice etico non si traduce in un’esperienza divertente. Al contrario, è frustrante, se non dolorosa, in quanto viene messa continuamente in dubbio la moralità delle azioni effettuate dall’utente. Questo aspetto richiede all’utente l’accettazione volontaria di compromessi sempre più ardui per garantire la sopravvivenza del gruppo di civili senza nuocere agli altri personaggi. Inoltre il gioco si fa ancora più complicato perché entrambi i tipi di condotte, quella più “etica” e quella da “sciacallo”, non promettono la sopravvivenza a lungo termine del gruppo: nel primo caso è molto probabile essere aggirati o addirittura uccisi dagli altri personaggi del sistema cercando di fare “la cosa giusta”; nel secondo caso il giocatore potrebbe dover fare i conti con le conseguenze delle proprie scelte perché alcuni personaggi possono cadere in depressione vergognandosi di aver ucciso una vittima innocente oppure possono deprimersi per la morte di un compagno e lasciarsi morire perché travolti dal senso di colpa. In questo caso, il giocatore non può far altro che osservare impotente il personaggio finché non subentra la morte.
11 bit Studios, This War of Mine, 2014
L’intento di 11 bit studios era di realizzare un’opera che riuscisse a comunicare il senso della guerra - o meglio, la mancanza di senso di questa attività - attraverso lo sviluppo di una relazione di empatia tra l’utente e i personaggi videoludici, come hanno dichiarato loro stessi durante un’intervista rilasciata al quotidiano statunitense Washington Post nel novembre del 2014. Purtroppo questa descrizione delle principali dinamiche all’interno del videogame non rende giustizia alla profonda esperienza empatica che esso propone, ma fa senz’altro capire come uno strumento del genere sia in realtà un vaso di Pandora in attesa di essere aperto per comunicare all’utente una palette di emozioni che spaziano dall’eccitazione alla profonda disperazione. Giocare a This War of Mine significa intraprendere due viaggi: uno metaforico che porta a fare i conti con la realtà in quanto tale poiché la simulazione illumina lo stato del mondo contemporaneo, un mondo dilaniato da guerre e conflitti, migrazione forzate e traffici di corpi. L’altro è un viaggio personale, quello di un utente privilegiato, sicuro e protetto nel primo mondo, che esperisce in forma vicaria le conseguenze delle proprie azioni in un contesto di massima vulnerabilità. In questo caso, la realtà virtuale diventa un modello, canovaccio per quella reale. Grazie alla simulazione qui proposta è possibile affrontare alcune situazioni che contraddistinguono la condizione bellica, sebbene lo specchio videoludico non sia assolutamente paragonabile alla realtà e neanche vuole provare ad esserlo: un conto infatti è vivere certe esperienze in prima persona, un altro è sperimentarle attraverso un’opera di fantasia. Tuttavia, già il sollecitare una simile riflessione, spingendo il giocatore a vestire i panni delle vittime anziché dell’eroe superomistico tipico della produzione videoludica mainstream, rappresenta un fondamentale passo avanti per stimolare una maturazione etica negli utenti, rendendoli consapevoli di quanto accade attorno a loro e, auspicabilmente, predisposti alla comprensione delle esperienze altrui.
11 bit Studios, This War of Mine, 2014
Di seguito sono riportati alcuni commenti in merito all’esperienza ludica di This War of Mine profferite dai giocatori e condivise su Reddit, uno dei forum online più seguiti per ogni tipo di discussione, tra cui quella sui videogiochi. Nonostante i giocatori affermino di aver sperimentato diversi stati d’animo durante le sessioni ludiche, ciò che emerge da questi commenti è l’efficacia del videogioco nello stimolare una risposta emotiva anziché puramente funzionale o strumentale al raggiungimento dello stato di vittoria. Diversi utenti hanno scritto di aver giocato assumendo un comportamento da sciacallo nei confronti di civili inermi, ma l’osservare i propri personaggi cadere in depressione e suicidarsi per le azioni che hanno compiuto, li ha portati a riflettere sul proprio operato nonché a provare un senso di colpa nei confronti di coloro che hanno “ferito” all’interno della simulazione, e soprattutto verso i propri avatar. Molti hanno anche raccontato che osservare un personaggio mentre si lascia morire o decidere di fargli uccidere con ferocia un innocente, li ha spinti successivamente a giocare in modo differente, per sviluppare una coscienza ludica, adottando una condotta più etica per evitare di sentirsi miserabili alla fine della sessione.
L'autrice
Laureata al corso di Laurea Magistrale in Arti, Patrimoni e Mercati all’Università IULM di Milano, con una tesi di analisi del video game come medium formativo e del mercato videoludico, dal titolo Video Game. Economia e Cultura, Gemma Fantacci è appassionata di tecnologia, arte contemporanea e new media art. Dal 2015 cura la pagina Instagram @toscanaontheroad.
LINK: Gemma Fantacci