In occasione della mostra curata da Diana Baldon presso la Fondazione Arti Visive di Modena Jon Rafman, il viaggiatore mentale, Duels ha pubblicato per gentile concessione dell’editore, un saggio di Matteo Bittanti, tratto da Matteo Bittanti (a cura di), Machinima. Dal videogioco alla videoarte, Mimesis Edizioni, Milano, 2017. (sito ufficiale)
JON RAFMAN, IL PITTORE DELLA VITA POSTMODERNA
Matteo Bittanti
Nato a Montreal, in Canada nel 1981, Jon Rafman esplora le giunture tra reale e virtuale attraverso un’accorta manipolazione dell’immagine digitale e servendosi delle nuove cartografie cognitive: Google Street View, Google Earth, Second Life e i videogiochi. Più che testi, questi strumenti generano contesti: zone liminali marcate dalla coesistenza di molteplici – spesso contraddittorie geografie e cronologie, logiche ed estetiche, codici e linguaggi. Rafman tematizza i paradossi della contemporaneità, portando in primo piano gli effetti alienanti prodotti dai nuovi apparati. Allo stesso tempo, celebra l’avvento dell’identità fluida, transeunte e mediata delle reti. Per esempio, tra il 2009 e il 2011, Rafman ha organizzato una serie di spedizioni all’interno di Second Life, servendosi del proprio avatar, Kool-Aid Man e accompagnando i turisti in un mondo segnato da compulsioni digitali, iper-stimolazioni visive, simulazioni sessuali e fantasie di onnipotenza. Ciò che distingue Rafman da molti altri artisti contemporanei è la scelta consapevole e deliberata di utilizzare la rete come principale canale distributivo, arena discorsiva.
Jon Rafman, Kool-Aid Man in Second Life, 2008-2011, Video HD (colore, con suono in stereo), Durata: 18'01", Courtesy l’artista
Soprattutto, Rafman ha contribuito a trasformare il machinima da espressione del fandom in videoarte, come attesta la sua ricca produzione: Woods of Arcady (2010), Codes of Honor (2011), Remembering Carthage (2013) e A Man Digging (2013). Artefatto culturale di natura visuale, il machinima è un’animazione digitale risultante dall’appropriazione e successiva elaborazione di immagini di natura videoludica. Creare un machinima è in primo luogo un ri-creare: l’artista si appropria di uno strumento finalizzato al puro disimpegno, alla distrazione (il video game) per produrre un’opera alternativa (il machinima, appunto). Il processo prevede un regista in grado di sfruttare i motori tridimensionali (engine), software ad hoc (per es., Moviestorm) o dispositivi di registrazione offerti dal gioco, rimontando il materiale ottenuto per mezzo di un software di editing (per es. Adobe Premiere). Per quanto numerosi studiosi dell’area dei game studies riconducono le origini del medium a una matrice essenzialmente tecnocentrica che presenta due ramificazioni – demoscene e Quake–movies – ritengo che la genesi del machinima sia rintracciabile altrove, e in particolare nelle pratiche di appropriazione tipiche dell’arte contemporanea. La storia del machinima – o, perlomeno, una storia importante – ha inizio nel 1996 con la serie Videos After Videogames dell’artista di origini greche Miltos Manetas.