La ricerca artistica di Luca Miranda esamina la relazione tra realtà e simulazione, l’avatar come entità estetica e le correlate dimensioni testuali e visive. Centrale, nella sua pratica, è l’analisi critica delle meccaniche videoludiche, insieme alla riflessione sui concetti di immersione, identificazione ed interpassività. In particolare, Miranda investiga la figura dell’avatar all’interno della cultura contemporanea. Nel 2016 ha conseguito una Laurea di primo livello al D.A.M.S. dell’Università di Bologna e nel 2019 una Laurea Magistrale in Televisione, Cinema e New Media presso l’Università IULM di Milano. Dal 2018 è membro e cofondatore del collettivo artistico milanese Eremo. Il suo primo libro, una disamina critica e poetica del walking simulator, sarà pubblicato nel 2021.
Matteo Bittanti: Puoi descrivere il processo creativo dietro a Cheatimerism? Hai utilizzato dei mods oppure, come suggerisce il titolo, dei cheat mode? Perché
Luca Miranda: Volevo inizialmente indagare i meccanismi e le modalità visuali con le quali il videoludico rappresenta i tropi del consumo e del libero mercato, agendo all’interno di un ecosistema per poi modificarlo. Sin dall’inizio scelsi il videogioco Grand Theft Auto V, poiché sintetizza efficacemente (nonostante la sua ampiezza) il rapporto paradossale che esiste tra simulazione, rappresentazione e consumo. Inizialmente mi rivolsi alle mods: volevo “rompere” il gioco rimuovendo i modelli 3D presenti nella mappa, lasciando solamente terreni e l’avatar usato dal giocatore. Avevo in mente il lavoro Super Mario Clouds (2002) di Cory Arcangel ma, piuttosto che compiere questo tipo di rimozione, la mia intenzione era quella di mantenere l’avatar principale, facendolo vagare tra i resti dell’inarrestabile processo dei liberi mercati: uno stato di saturazione merceologica e di intrattenimento talmente compatto da risultare invisibile, come una mappa svuotata di ancoraggi significanti. Successivamente lasciai perdere, non tanto per questioni tecniche (il Web è pieno di tutorial da cui attingere e GTA V ha un’enorme community di modders), quanto concettuali. Nella mia mente iniziava a farsi largo un’idea più legata all’ingombro e all’addizione, anziché allo sgombro e alla rimozione, tuttavia ero concentrato su modalità e idee ancora troppo complesse. Fino a che, vagabondando per il gioco, mi resi conto del potenziale legato all’uso del cheat. Nella serie GTA è storicamente possibile fare uso di cheat per ottenere vantaggi come l’ottenimento di tutte le armi del gioco o il recupero di punti vita. Tra le altre cose, il cheat che più mi ha interessato è quello relativo allo spawn di automobili. Inizialmente ignoravo si potesse re-spawnare più volte lo stesso veicolo: pensavo che il modello venisse sostituito nell’immediato da uno nuovo. Questo fu il dato che mi illuminò, poiché avevo a disposizione, da un lato, uno degli oggetti par excellence del consumismo – l’automobile – dall’altro una modalità attuativa interna al sistema, un elemento, quest’ultimo, che ho preferito rispetto all’uso di mods. Mi spiego: cheat e modding non solo hanno genealogie specifiche, ma hanno anche caratteristiche e attributi di valore distinti. Di fatto, laddove il modding agisce esternamente e internamente contro il sistema, il cheat è una funzione interna che agisce sotto autorizzazione del sistema. Il modding è “l’altro negativo” di cui parla il filosofo Byung-Chul Han (2020), una sorta di azione batterica che contrasta l’equilibrio immunologico del politico e del sociale, mentre il cheat rappresenta l’output di ciò che Han definisce “la società della performance”. Essa chiede di eccedere divertimento e consumi, fornendoti direttamente gli strumenti necessari allo scopo. Il respawn di auto esemplifica la saturazione e l’obsolescenza degli scopi. È possibile vedere un meccanismo simile in altri giochi in cui si può fare uso di cheat. Il famoso “rosebud” da digitare in The Sims 2 (2004) per avere denaro infinito ne è un esempio. Il potere d’acquisto generato non “rompe” o “rovina” il gioco, come si potrebbe subito pensare, ma ingenera un altro tipo di processo legato all’uso e abuso del capitale.
Luca Miranda, Underw[h]e(a)re, digital still, 3840 x 2160, 2020