Pietro Righi Riva
Automatizzare la curatela, e altri ossimori
7 maggio 2024
09:00 - 10:30 & 12.00 - 13.30
Aula Meucci, IULM 2
Università IULM
Via Carlo Bo 2
20143 Milano
TRASCRIZIONE (introduzione, Bittanti)
Kyle Chayka è uno scrittore e giornalista statunitense noto per la sua analisi critica della cultura contemporanea e della tecnologia. Nato e cresciuto nel Connecticut, Chayka ha sviluppato un interesse per la visual culture, l'estetica e le dinamiche sociali fin da giovane. Dopo aver studiato letteratura e storia dell'arte presso la Tufts University, ha iniziato la sua carriera come giornalista freelance, contribuendo a diverse pubblicazioni di rilievo. Forte di un'esperienza come staff writer per Hyperallergic, nel 2015 ha co-fondato la piattaforma Study Hall. Oggi Chayka scrive per una vasta gamma di testate, tra cui The New York Times, The New Yorker, The Atlantic, Vogue e Harper's Magazine. I suoi articoli spesso esplorano temi legati alla cultura digitale, all'arte contemporanea e all'influenza della tecnologia sulle nostre vite quotidiane. Si distingue per uno stile di scrittura incisivo e per la capacità di collegare fenomeni apparentemente disparati.
Il suo primo libro, Longing for Less: Living with Minimalism pubblicato nel 2020, esplora il tema del minimalismo come stile di vita e movimento artistico, collegando figure come Donald Judd, John Cage, Brian Eno fino a life coach come Marie Kondo. Longing for Less analizza le radici storiche e filosofiche del minimalismo, tracciandone l'evoluzione dall'arte e dall'architettura minimalista degli anni '60 e '70 fino al minimalismo contemporaneo nelle abitazioni, nella moda, nel design e nel consumo. Chayka riflette sul motivo per cui il minimalismo è diventato così attraente in un'epoca di sovrabbondanza materiale e stimoli incessanti, e discute come questa ricerca di semplicità possa influenzare la nostra vita quotidiana e il nostro benessere psicologico.
Il suo secondo libro, Filterworld, pubblicato in Italia nel marzo 2024 da ROI edizioni, esamina l'impatto della logica algoritmica sulla cultura contemporanea, utilizzando la metafora del Turco Meccanico, evocata nell’introduzione, per illustrare l'inganno tecnologico e la manipolazione della percezione umana.
Nel 1769, Johann Wolfgang Ritter von Kempelen creò il Turco meccanico, un congegno che giocava a scacchi contro avversari umani. Questa macchina sorprendente sembrava in grado di prendere decisioni da sola, ma in realtà, un esperto di scacchi di piccole dimensioni nascosto all'interno la manovrava. Il finto automa viaggiò in tutto il mondo, sfidando personalità come Benjamin Franklin e Napoleone Bonaparte, ma il suo segreto fu svelato solo nel 1860. Il Turco Meccanico divenne una metafora della manipolazione tecnologica, rappresentando l'uomo che si cela dietro la facciata di una tecnologia apparentemente avanzata.
Il concetto di algoritmo, spesso usato come sinonimo di "suggerimenti algoritmici", rappresenta i meccanismi digitali che elaborano grandi quantità di dati degli utenti per fornire contenuti personalizzati. Gli algoritmi influenzano una vasta gamma di esperienze digitali, dai risultati di ricerca di Google ai feed di social media come Facebook, Instagram e TikTok. Essi determinano i contenuti che vediamo e modellano le nostre esperienze negli spazi digitali, suggerendo ciò che presumono vogliamo vedere. Al pari del Turco meccanico, gli algoritmi creano l'illusione di una tecnologia onnisciente e autonoma, mentre in realtà sono guidati da decisioni umane prese su larga scala. Si noti che questa immagine ricorre in numerose riflessioni sull’intelligenza artificiale. La ritroviamo infatti nel libro Né intelligente, né artificiale. Il lato oscuro dell’IA di Kate Crawford nonché nel lavoro di di Melanie Mitchell, L'intelligenza artificiale. Una guida per esseri umani pensanti, pubblicati nel 2021 e 2022 dal Mulino e da Einaudi rispettivamente.
Chayka evidenzia come gli algoritmi abbiano sostituito le decisioni umane nella curatela dei contenuti culturali. Un tempo, redattori, librai, DJ e programmatori cinematografici decidevano quali storie, libri, canzoni e film presentare al pubblico. Oggi, queste decisioni sono prese dagli algoritmi, che valutano le azioni precedenti degli utenti e selezionano i contenuti che meglio si adattano ai loro modelli di comportamento. Questo cambiamento ha causato l'appiattimento della cultura, rendendola omogenea e superficiale, in cui i contenuti sono scelti in base alla loro capacità di attirare l'attenzione piuttosto che per il loro valore intrinseco.
Filterworld è il termine coniato da Chayka per descrivere il mondo dominato dagli algoritmi. Questo paradigma tecnologico, oggi dominante, modella e promuove determinati generi e stili, come lo "streambait" su Spotify o la "faccia da Instagram", teorizzati rispettivamente da Liz Pelley su The Baffler nel 2018 e da Jia Tolentino, sulle pagine del New Yorker nel 2019. La cultura in Filterworld è caratterizzata da accessibilità, replicabilità e pseudo-partecipazione, ma anche da una tendenza verso la mediocrità e l'omogeneità. I suggerimenti algoritmici dettano i generi culturali, premiando temi ricorrenti, costanti. In Filterworld, ciò che è popolare lo diventa ancora di più, mentre le nicchie, il differente e il difficile sono sistematicamente eliminati. Viralità e banalità sono sinonimi.
Kyle Chayka spiega come i feed algoritmici siano diventati predominanti. All'inizio, i social network come Twitter, Facebook, Instagram e Tumblr presentavano contenuti in ordine cronologico. Tuttavia, con la crescita delle piattaforme e l'aumento del numero di utenti, i feed cronologici sono diventati ingombranti. Le piattaforme hanno quindi introdotto sempre più post consigliati dagli algoritmi per mantenere gli utenti interessati e massimizzare il tempo trascorso sulle app, aumentando così i profitti pubblicitari.
TikTok, introdotto negli Stati Uniti nel 2018, ha rivoluzionato il concetto di feed social, rendendolo quasi interamente basato su algoritmi. L'esperienza dell'app non riguarda tanto chi gli utenti scelgono di seguire, quanto i contenuti che i suggerimenti algoritmici selezionano per loro. TikTok è diventata la piattaforma di social network con la crescita più rapida di sempre, raggiungendo oltre 1,5 miliardi di utenti in meno di cinque anni. Altri social media, come Instagram e Twitter, hanno seguito l'esempio di TikTok, implementando feed algoritmici per rimanere competitivi.
Lo scrittore americano discute le conseguenze psicologiche dell'interazione continua con i feed algoritmici. Questi algoritmi possono generare ansia e un senso di passività, inducendo gli utenti a consumare contenuti senza riflettere criticamente. Questo porta a una ricerca di una cultura che lenisce piuttosto che stimolarci, riducendo la nostra capacità di emozionarci e di essere curiosi. Gli algoritmi ci spingono a preferire spazi fisici e contenuti digitali che rispecchiano un'estetica uniforme e globalizzata, eliminando le diversità culturali e promuovendo l'omogeneità attraverso iterazioni e varianti superficiali, remake e reboot, prequel e sequel. In breve, gli algoritmi hanno cancellato il futuro.
Chayka individua una metafora di Filterworld nel romanzo Somehow, Crystal dello scrittore giapponese Yasuo Tanaka del 1980, che descrive un mondo consumistico dominato da marchi e prodotti e che anticipa, di oltre un decennio, il romanzo di Bret Easton Ellis, American Psycho, un’altra narrazione i cui veri protagonisti sono brand di moda e merci di consumo. La tecnologia moderna, come i pulsanti preimpostati per sintonizzare la radio, rende la vita più comoda ma meno magica, imprevedibile e umana, riflettendo come la cultura preimpostata di Filterworld limita l'originalità e la creatività. In breve, noi crediamo di usare i social media, ma in realtà siamo usati e abusati dalle piattaforme attraverso la logica algoritmica.
La cultura di Filterworld è omogenea, con un'estetica uniforme che si diffonde globalmente in modo rapido perché oggi viviamo in real time. Chayka descrive l'esperienza nei cosiddetti "coffee shops" generici in diverse città del mondo - ovvero quei "terzi luoghi" in origine concepiti come "autentici" perché antitetici alla monoliticità delle grandi catene come Starbucks - che paradossalmente condividono un "look and feel" simile indipendentemente dalla loro ubicazione geografica. Questo fenomeno determina un'armonizzazione dei gusti a livello internazionale, influenzata dalle piattaforme di mappatura commerciale e post-fotografia come Instagram, Yelp e FourSquare. Queste piattaforme spingono le persone a preferire spazi fisici che riflettono l'estetica digitale in voga, promuovendo una normalizzazione culturale. Qui Chayka riprende il concetto di "AirSpace", che ha coniato nel 2016 su The Verge, per descrivere l'estetica omogenea, "cool", "priva di attriti", degli spazi commerciali, degli hotel boutique, dei nonluoghi del co-working, dei cafè moderni, caratterizzati da interni minimalisti, e dall'influenza delle piattaforme di social media come Instagram.
La globalizzazione digitale, sostenuta da piattaforme occidentali, promuove un'armonizzazione dei gusti che elimina le diversità e l'eterogeneità. Come scrive la studiosa di letteratura indiana Gayatri Spivak, la globalizzazione avviene principalmente nel capitale e nei dati, mentre tutto il resto è il semplice tentativo di limitare i danni alla società, alla cultura e all'ambiente naturale. Le piattaforme digitali accumulano quantità spropositate di informazioni e ricchezze, catturando miliardi di utenti. L'omogeneità è una reazione inevitabile a questa concentrazione e diffusione di valori e modelli, un modo per adattarsi ai danni della globalizzazione.
Il "capitalismo della sorveglianza", come definito dalla studiosa Shoshana Zuboff, descrive come le aziende tecnologiche monetizzano il sistematico e persistente assorbimento dei dati personali degli utenti. Questo intensifica l'economia dell'attenzione, in cui i like e i click diventano le uniche misure di valore e qualità. Studi scientifici dimostrano che i like scatenano una scarica di dopamina nel cervello, rendendo il loro inseguimento coatto una dipendenza. Tuttavia, i feed algoritmici spesso fraintendono gli utenti, suggerendo contenuti inappropriati e incoraggiando abitudini indesiderate, generando uno stato di passività, trance e intorpidimento.
Chayka paragona Filterworld alla logica del default e delle preimpostazioni, dove tutto è basato su schemi consolidati e prevedibili. Questo limita l'originalità, la creatività e la sorpresa, promuovendo modelli ripetitivi e uniformi. La tecnologia moderna ci limita a certe modalità di consumo, eliminando il "divertimento maniacale", la passione, la collezione ragionata, e la magia della scoperta. Il modello delle preimpostazioni è caratterizzato da uniformità e mediocrità, riflettendo l'influenza pervasiva degli algoritmi sulla nostra vita socio-culturale.
L'obiettivo di Chayka è comprendere e decostruire Filterworld per sfuggire alla sua influenza nefasta. L'autore intende rivelare il "manovratore" dietro il Turco Meccanico moderno, smascherando le illusioni tecnologiche che governano la nostra vita digitale. Comprendere il funzionamento degli algoritmi e le loro conseguenze rappresenta dunque il primo passo per superare la condizione di paradossale ansia e simultanea noia che essi generano, per incentivare una cultura più originale, creativa e diversificata.
Il 7 maggio 2024, nel contesto del corso Comunicazione Digitale curato dal sottoscritto nell'ambito della Laurea Triennale in Comunicazione, Pubblicità e Media dell’Università IULM di Milano, Pietro Righi Riva ha discusso il concetto di Filterworld in relazione alla distribuzione di videogiochi sulla piattaforma Steam. Secondo Righi Riva, oggi ci siamo abituati ad accettare concetti privi di senso come “privacy digitale”, “intelligenza artificiale”, “realtà virtuale”, e “criptovalute” senza farci troppe domande. Tuttavia, per il direttore dello studio Santa Ragione, questa retorica tecno-ottimista cela pericolose contraddizioni, soprattutto quando applicata ai principi dell'automazione e dell'ottimizzazione in contesti di sperimentazione ed espressione umana, minacciando così le fondamenta stesse delle industrie creative. Righi Riva traccia attraverso l’esperienza degli ultimi quattordici anni con lo studio Santa Ragione gli effetti dell'automatizzazione della curatela in uno dei settori più rilevanti sul piano sociale, artistico ed economico di questo secolo, ovvero il videogioco. La presentazione è stata seguita da un breve workshop di progettazione di alternative alla ormai normativa “curatela automatizzata” per la distribuzione di contenuti culturali digitali.
Matteo Bittanti
Pietro Righi Riva è co-fondatore e direttore creativo dello studio indipendente Santa Ragione che ha prodotto videogiochi di grande successo critico e commerciale come MirrorMoon EP, FOTONICA, Wheels of Aurelia, Mediterranea Inferno (premiato all’Independent Game Festival di San Francisco nel marzo 2024) e Milky Way Prince - The Vampire Star. Righi Riva ha conseguito un Dottorato di ricerca in Interaction Design presso il Politecnico di Milano. Ha svolto attività di insegnamento presso l'Università IULM di Milano, il Politecnico di Milano, il California College of the Arts di San Francisco, la Shanghai Theater Academy, la Tsinghua University, e la NABA. Ha tenuto conferenze e ha partecipato a festival internazionali come la Game Developers Conference, Fantastic Arcade, A Maze e molte altre. La sua filosofia progettuale mira allo sviluppo di videogiochi non guidati da obiettivi per renderli accessibili a un pubblico più ampio. Le sue opere sono state esposte alla Triennale di Milano, alla Biennale di Venezia e MCA di Chicago. Nel 2016, ha pubblicato un manifesto per i media non tradizionali intitolato Rejecta e nel 2017 è stato uno dei quattro autori selezionati per No Quarter, la mostra annuale di game design sperimentale organizzata dal Game Center della New York University e vincitore dell'Innovation in Experience Design Award a IndieCade 2018. Righi Riva vive e lavora a Milano.