Il saluto romano di Elon Musk, il 20 gennaio 2025, ripetuto due volte, durante l'inaugurazione del 47° Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump.
Nessuna figura contemporanea incarna in modo più esplicito ed emblematico l’ideologia accelerazionista, autoritaria e tecno-fascista di Elon Musk. Il Sieg heil! dell’uomo più ricco del mondo ripetuto due volte lo scorso 20 gennaio durante l’incoronazione dell’aspirante “dittatore per un giorno” Donald Trump — una definizione da lui stesso rivendicata, anche se Troll-in-Chief sembra più azzeccata — esprime l’impeto autocratico che caratterizza il magnate sudafricano, leader di Tesla, SpaceX, X etc.
Questo gesto emblematico non solo mette in luce l’intreccio tra la sua figura pubblica e le storie che Musk ama diffondere, ma sottolinea anche il ruolo centrale della cultura videoludica nel normalizzare e rafforzare le ideologie reazionarie. Infatti, fin dal 2014, con la progressiva radicalizzazione della campagna Gamergate, la cultura gamer è stata sempre più cooptata all’interno del movimento MAGA, un fenomeno analizzato in profondità nel volume collettivo Game Over. Critica della ragione videoludica.
Musk ha sempre ostentato con orgoglio la propria identità gamer, trasformandola in uno strumento ideologico e in una forma di propaganda. Musk è, sotto molti aspetti, il leader maximo del culto tecnoludico, un edgelord che si considera una figura divina. Si è vantato ripetutamente della sua presunta destrezza ed impareggiabile padronanza tecnica in videogiochi impegnativi come Quake, Elden Ring, e Diablo IV, ostentando inoltre un’abilità non comune nel conciliare un’agenda estremamente fitta di impegni con le risorse temporali, cognitive e manuali necessarie per raggiungere livelli di abilità elevatissimi. Tuttavia, per oltre un decennio, questa narrativa è stata costruita su una rappresentazione artificiosa, sostenuta dall’idolatria cieca della comunità gamer. Il sodalizio tra il “techno-king” di Tesla e gli smanettoni è durato a lungo. Tuttavia, la sua immagine si è incrinata di recente, quando è emerso che le sue performance non erano frutto di un talento genuino con il controller, bensì del lavoro di gamer-vassalli professionisti pagati per alimentare l’illusione del successo.
Questo episodio esemplifica in modo emblematico il concetto di gaming capital, ovvero capitale ludico, descritto da Mia Consalvo nel seminale libro Cheating: Gaining Advantage in Video Games (2007) nota 1. Il gaming capital rappresenta, secondo Consalvo, una forma di capitale culturale (cfr. Pierre Bourdieu), costruito attraverso competenze, conoscenze e riconoscimenti accumulati attraverso la prassi videoludica. È un valore che non si limita all’abilità tecnica individuale, ma si estende alla capacità di costruire, mantenere e sviluppare un’identità rispettata nella comunità videoludica nel suo complesso. Come scrive Consalvo:
I gamer considerati d'élite dagli altri sono ritenuti in possesso di grandi quantità (e di particolari tipi) di capitale ludico. Questi giocatori possono eccellere in specifici tipi di videogiochi, oppure avere una profonda conoscenza dell’hardware di gioco o delle ultime uscite. Sono consapevoli delle molteplici opzioni disponibili nei videogiochi e probabilmente possono offrire aiuto o consigli ad altri giocatori. Essi rappresentano il gamer ideale. (p. 123)
Fino a oggi, Musk ha incarnato la figura del gamer ideale, connotato generalmente come “giovane, maschio, eterosessuale e pieno di soldi” (p. 22). Il suo capitale ludico è stato sapientemente accumulato e orchestrato per rafforzare la propria immagine pubblica, consolidare la propria reputazione e legittimare il suo ruolo ideologico all'interno della cultura gamer. Come spiega Consalvo,
Possedere questo tipo di capitale ludico conferisce un certo grado di potere nei contesti di gioco, che si tratti di un gruppo di amici del liceo, di una gilda in un MMO o di un sito dedicato ai cheat per un determinato gioco. I gamer che detengono specifiche forme di capitale ludico, rilevanti per il loro gruppo di appartenenza, godono di autorità: possono offrire consigli con competenza, essere riconosciuti come esperti e, attraverso il loro comportamento in-game, influenzare le possibilità di successo o insuccesso degli altri. [...] Ogni giocatore possiede un certo livello di potere o expertise, che può essere utilizzato in modo costruttivo o distruttivo. (ibidem)
Il capitale ludico è dinamico anziché statico: è un processo, non un’attributo. È socio-culturalmente costruito e, come tale, richiede un lavoro costante. L’intrinseca fragilità del gaming capital emerge chiaramente quando viene a mancare la percezione di autenticità. L’imbarazzante streaming di Musk di qualche settimana fa in cui sono emerse falle evidenti nella sua presunta abilità con Path of Exile 2, ha scatenato una ondata di analisi critiche su Reddit, in cui la comunità gamer ha sistematicamente smascherato errori amatoriali — dall’incapacità di usare una fiaschetta di mana al fraintendimento delle caratteristiche di oggetti esclusivi.
Perché la dichiarazione di essere un campione di Path of Exile 2 ha accelerato la crisi di legittimità del Musk-gamer, fino a determinarne l'implosione?
In passato, il techno-king si limitava a vantare i propri risultati e a condividere l’account per confermare il proprio livello. Tuttavia, lo streaming di una performance palesemente incompetente ha spezzato l’illusione, suscitando una reazione collettiva di scherno e condanna: Il Re è nudo. La querelle, amplificata a una dettagliata analisi dello streamer neozelandese Quin69TV l’11 gennaio 2025 e dalle dispute puerili tra Musk e figure influenti come Zach “Asmongold” Hoyt dopo una disamina ancora più approfondita il 13 gennaio 2025, ha reso manifesta e inconfutabile la natura costruita, artefatta e simulata del suo presunto status elitario. Al di là della performance per sé, l’alter ego di Musk risultava attivo quando il Musk in carne e ossa si trovava a Washington per celebrare l’inaugurazione del nuovo dittatore. A quanto pare, uno dei vantaggi della ricchezza infinita è il power up dell’ubiquità.
In breve, Musk è stato identificato come cheater.
Nelle pagine iniziali del suo libro, Consalvo cita J. Barton Bowyer, che definisce il cheating come “la distorsione vantaggiosa della realtà percepita. Questo vantaggio avvantaggia il cheater perché la persona imbrogliata fraintende ciò che si ritiene essere il mondo reale” (p. 18). Come spiega Consalvo, “Il cheater approfitta di una persona, di una situazione o di entrambe. Il cheating implica anche una ‘distorsione della realtà percepita’ o ciò che altri definiscono ‘inganno’. L’inganno può consistere nel nascondere la ‘vera’ realtà o nel ‘mostrare’ la realtà in un modo finalizzato a ingannare gli altri”. (Ibidem).
Sul piano squisitamente fenomenologico, Musk ha convertito il proprio capitale economico in capitale ludico, adottando quelle pratiche di pay-to-play tipiche del neoliberismo, ormai dominanti nell'industria videoludica contemporanea. Del resto, come ho scritto in Game Over, qualsiasi videogioco moderno è, innazitutto, una simulazione del capitalismo. Tuttavia, come sottolinea Consalvo, le comunità videoludiche non tollerano discrepanze tra l’immagine pubblica di un gamer e la sua effettiva competenza, giacché ciò mette in crisi la logica meritocratica su quale si fonde la pratica videoludicanota 2. Questa dissonanza ha accelerato l’erosione del gaming capital di Musk, dimostrando come la validità di tale capitale sia indissolubilmente legata alla percezione collettiva della comunità. Ora, sarebbe facile liquidare la debacle come un banale caso di schadenfreude: è quello che fatto, per esempio, Keza McDonald sul Guardian, riassumendo l’evoluzione di Musk da Gaming God/l33t a Fake game girl.
Tuttavia, le implicazioni sono più profonde e sinistre: al di fuori della sottocultura gamer, questo episodio svela un quadro più ampio e preoccupante. Focalizzandosi sul faux pax di Musk si rischia di perdere di vista lo scenario contingente, segnato da inquietanti parallelismi storici.
Nonostante la (possibile) erosione della sua reputazione in quanto gamer, i valori promossi da Musk rimangono straordinariamente popolari e influenti. La sua figura continua a rappresentare un simbolo per le ideologie reazionarie, dimostrando che il vero potere gamer consiste nella capacità di manipolare, diffondere e finanziare narrazioni che normalizzano la violenza, la disinformazione e le teorie cospirative attraverso strumenti apparentemente disimpegnati come il videogioco e i social media. Il fenomeno è stato ampiamente documentato da numerosi studiosi nel volume Reset. Videogiochi e politica.
Nel decennio trascorso dalla campagna Gamergate (2014-2024), la cultura gamer ha conseguito un inequivocabile trionfo economico, politico e culturale: i nerd oggi controllano il mondo. Questo successo cela una realtà profondamente problematica. Musk, il gamer più influente al mondo, promuove apertamente i movimenti di estrema destra negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania (è tra i principali sostenitori di Alternative für Deutschland), in Argentina, nonché nella Repubblica degli Hobbit dimostrando come questa cultura abbia da tempo abbracciato valori autoritari, accelerazionisti e fascisti, sfruttando i propri mezzi di comunicazione per diffondere falsità di ogni tipo: dalle reali cause del cambiamento climatico alla propria performance ai videogiochi. Questa degenerazione riflette e alimenta le peggiori tendenze ideologiche contemporanee, diffuse un tweet alla volta, finanziate da endless cash.
Il cheater, come ci ricorda Consalvo, manipola continuamente la realtà percepita.
Ogni giorno, il techno-king Musk usa X — uno dei principali motori di ciò che Max Fisher ha definito macchine del caos —per distorcere la realtà.
Musk, in altre parole, è il cheater ideale.
Diablo IV è un semplice giochino. Il vero gioco di Musk è un altro. Musk gioca al mondo, per dirla con Julio Cortazar. O meglio, Musk gioca con il mondo.
Riprendendo il concetto di cerchio magico di Johannes Huizinga, Mia Consalvo conclude il suo libro chiedendo(si): “E se i videogiochi non si svolgessero in uno spazio recintato?” (p. 190), ovvero distinto, separato dalla realtà?
La domanda è retorica. Lungi dall’essere confinata al mondo dell’intrattenimento, la cultura gamer si è metastatizzata in ogni ambito della società contemporanea, trasformandosi in un veicolo ideologico di straordinaria potenza. Da marginale è diventata mainstream. Attraverso l’idolatria di figure messianiche come Musk e la continua promozione del razzismo, della supremazia bianca, della misoginia e della logica estrattivistica del digitale, la videologia gamer ha contribuito a normalizzare politiche reazionarie e a fomentare l’odio.
Da oltre un decennio, i videogiochi sono usciti dallo schermo: oggi la società è interamente ludicizzata.
E le masse? Nessuna sorpresa: si divertono da morire.
Matteo Bittanti
Musk indossa un cappello MAGA adornato con il carattere Elvish Fraktur, considerata la font nazista per definizione (sebbene la sua storia sia molto più complessa e affascinante).
nota 1
Il volume, pubblicato quasi vent’anni fa, non considera le profonde trasformazioni che hanno interessato il settore videoludico negli anni successivi, in particolare l’ascesa del fenomeno dello streaming live su piattaforme come Twitch. Quest’ultimo ha introdotto una dimensione performativa in diretta, accessibile a milioni di spettatori, che all’epoca era del tutto inesistente. Tuttavia, il concetto di capitale ludico e le riflessioni di Consalvo sulla pratica del cheating rimangono ancora oggi rilevanti e preziose.
nota 2
Per il gamer, la società è percepita come intrinsecamente corrotta, poiché “privilegia” le minoranze, le donne e i soggetti svantaggiati. Al contrario, il videogioco premia esclusivamente le abilità tecniche, le skills, del soggetto e per questo motivo rappresenta il sistema meritocratico ideale. In breve, il videogioco, a differenza della società, non discrimina il gamer maschio, bianco ed eterosessuale. Da questa visione deriva il desiderio di ludicizzare la società, cioè trasformarla in qualcosa di simile a un videogioco, dove il valore individuale è determinato esclusivamente dal “merito”. Si noti che il concetto di meritocrazia è stato formulato dal sociologo Michael Dunlop Young nel 1958 per indicare una distopia. Sulla relazione tra meritocrazia e videogiochi, cfr. il pregnante lavoro di Christopher A. Paul, The Toxic Meritocracy of Video Games. Why Gaming Culture Is the Worst (University of Minnesota Press, 2018).
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Marisa Kabas, We’re dealing with actual Nazis, 17 febbraio 2025